LA STORIA ANTICA
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I CAMUNI dal 'masso dei pitoti ' al Nodo di Salomone (a cura di Marisa Uberti) Prime scoperte L'esplorazione della Valcamonica iniziò nel 1908, ad opera del professor Gualtiero Laeng di Brescia, che identificò il primo masso di Cemmo, che la gente chiamava "la preda dei pitoti", espressione dialettale che ha significato di "pietra dei burattini", poiché a livello popolare vi si ritenevano essere incisi degli "ometti stilizzati" in grande quantità. Le sue scoperte però passarono inosservate, anche se egli aveva ben compreso l’antichità di quella forma artistica e ne aveva curato una pubblicazione. Si dovette attendere il 1929, quando Graziosi e Marro decisero di approfondire lo studio del "masso dei pitoti", e nel 1930 Marro scoprì un secondo masso inciso. Da allora altri ricercatori si misero a fare indagini: R. Battaglia, F. Altheim, E. Suss, E. Anati, M. Mirabella Roberti, A. Priuli ed altri. Attualmente si conoscono oltre 300.000 graffiti che coprono un arco di tempo che va dall’Epi-paleolitico al Medio Evo avanzato. Quello che caratterizza la cultura che qui si era stanziata, è la mentalità di incisione, che perdura per millenni. La Valcamonica è sita 80 km. in linea d'aria a oriente di Como, parte dal lago d'Iseo, risale il corso dell'Oglio fino al Tonale (1884 m.s.m.) da cui si prosegue verso Bormio e Bolzano. Da questa strada, molto fortificata durante tutti i secoli ed aspramente contesa, passò l'imperatore Barbarossa. Cronologia ufficiale L'incisione rupestre viene definita come un sistema di "scrittura ideografica capace di codificare, secondo canoni di un codice non strettamente univoco, una grande quantità di concetti rendendoli accessibili nella loro sostanza alle generazioni future". L'arte rupestre, che ha come supporto una superficie rocciosa, si è sviluppata in ogni parte del globo; è una delle manifestazioni artistiche più antiche che l'uomo ha utilizzato per esprimersi (le espressioni più remote di quest'arte risalgono al Paleolitico Superiore). La roccia utilizzata è l'arenaria, che si è formata 250 milioni di anni fa; è stata modellata dall'erosione dei ghiacciai e si presenta compatta, difficilmente attaccabile dagli agenti atmosferici e dai licheni. E’ ormai classicamente riconosciuto:
Schematicamente si riconoscono quattro periodi importanti per lo sviluppo della cultura Camuna, che, ad un certo punto della propria storia, si intreccia con quella Celtica:
Contatti Prima di occuparci dei contatti stabiliti dai Camuni, anzitutto dobbiamo capire chi fossero costoro. Non è ancora del tutto chiarito il quadro evolutivo culturale delle popolazioni che qui furono stanziate. Il geografo Strabone li cita brevemente nel libro quarto del De Geographia e affibbia loro una stirpe retica. Camunni è il termine con cui li ritroviamo in alcuni testi di autori classici latini. In questa breve ricerca si cerca di mettere in evidenza come la cultura camuna si sia potuta in qualche modo intrecciare con altre culture, soprattutto con quella Celtica, essendo quest'ultima attestata dalla fine dell'età del Bronzo e per tutta l'età del Ferro in Europa, compresa la zona di insediamento camuno. Quando l’area venne conquistata da Augusto, e divenne una Provincia Romana, l’imperatore ci lasciò una testimonianza (1) che celebrava le vittorie sulle popolazioni alpine e da essa veniamo a sapere che esistevano 45 gentes Alpinae devictae; il secondo nome di tali gentes era Camunni (latinizzato). Si ritiene che verso la fine dell'Età del Bronzo, la cultura dei Camuni subisca l’influenza della civiltà dei Campi di Urne (2), che fa capo ad una popolazione insediatasi nell’area dell’Europa centrale, dalla quale alcuni fanno derivare quella Celtica (e altri popoli denominati "Indoeuropei"). Di questo "contatto" potrebbe essere un fattore determinante che, alla pratica dell’inumazione venne sostituita l’incinerazione. Si possono osservare infatti incisioni rupestri in cui le urne vengono portate in processione, frequentemente su un tipico carro funerario usato in tutta Europa nel primo millennio a.C.: dalla cultura di Halstatt all’Alto Adige, dalla Germania, dall'Austria, all’Ungheria, alla Polonia, al Portogallo, al sud della Spagna, dove resti materiali di carri funebri identici a quelli rappresentati nei graffiti della Valcamonica vennero scoperti in tombe di capi e di guerrieri. E' un dato di fatto, però, che sono state ritrovate tombe, dell'Età del Ferro, a inumazione. Come vedremo in seguito, i Camuni vennero in contatto con la cultura di Halstatt ("cellula generatrice dei Celti storici"?), che dall’VIII secolo a. C conosce un periodo di fioritura di circa tre secoli. I Camuni, inoltre, intrattennero relazioni con la civiltà Villanoviana e con quella Etrusca, oltre che con gruppi sparsi che dovevano allora popolare le varie zone dell’Italia centro-settentrionale. Un riferimento a parte merita sicuramente l’influenza Celtica sulla cultura Camuna, che è certa a partire dalla tarda Età del Ferro, poiché è in questo periodo che cambiano i concetti rappresentati nelle incisioni rupestri, segno che la cultura che li ha generati subì un profondo mutamento, venendo assorbita da quella Celtica, di cui mutuò molte divinità, simboli, rituali. L'uso continuato della guerra (a partire dall’influenza Etrusca) introdusse, nel 600 a.C. circa, delle modificazioni sociali irreversibili; probabilmente anche il linguaggio. "Fusione" che si era talmente radicata da non permettere ai Romani, quando vi giunsero, di operare una distinzione tra Celti e popolazioni Camune, le quali - per quanto sappiamo - erano attestate da millenni in detta area. Resta da capire un fatto non trascurabile che può essere così sintetizzato: i Camuni erano venuti in contatto con la civiltà dei Campi di Urne in un periodo compreso tra la fine del II e l’inizio del I millennio a.C. (tra il 1250 e il 1000, grosso modo), quindi la loro "trasformazione culturale" si dovrebbe datare a quel periodo? Oppure - ipotesi che affascina molti studiosi - i Camuni stessi erano provenienti da una matrice "Indoeuropea", forse migrata in tempi e modi progressivi, e quindi l’integrazione con la cultura Celtica andrebbe inquadrata come una "ricomposizione" di una cellula unitaria, un ritorno alle origini comuni che si perde in un tempo ancestrale, di cui non si hanno più tracce? Non solo incisioni La maggior raccolta di incisioni in Valcamonica è concentrata nei comuni di: Capo di Ponte, Nadro, Pescarzo, Cimbergo, Paspardo, Darfo-Boario Terme, Piancogno, Sellero, Sonico. Cosa troviamo in questi luoghi?
Diversi sono i modi di esecuzione, diverse le tecniche e diversa la cronologia. Non abbiamo solo incisioni. Si sono evidenziate strutture megalitiche, menhir, i Santuari d’Altura, (non molto numerosi, sono posti sulla sommità delle montagne o dei passi, dove la presenza di stele incise con motivi simbolici e incastrate nella roccia testimoniano l'esistenza di una probabile attività di culto); i Castellieri o insediamenti fortificati, attivi durante l’Età del Bronzo e del Ferro e presenti anche altrove. Sono state portate alla luce anche delle tombe, tuttavia queste rimangono curiosamente scarse, in relazione alla notevolissima produzione incisoria rupestre. Recenti studi nel campo dell’archeoastronomia, hanno evidenziato uno stretto legame tra il popolo Camuno e le stelle, facendo osservare che esistono correlazioni astronomiche ben precise in molte strutture fino ad ora prese in esame, in cui la possibilità che tali correlazioni siano frutto del caso è assai remota, per non dire in molti casi vicina allo zero! Anche le incisioni evidenzierebbero riferimenti celesti precisi, o possono riprodurre fenomeni astronomici che oggi, con le tecnologie a disposizione degli studiosi, è possibile collocare cronologicamente con un buon margine di precisione. Tracce di un contatto extra-Camuno nei petroglifi a) la spiritualità Un posto molto rilevante nella vita dei Camuni spettava alla religione. Il mondo spirituale preistorico o protostorico è difficilmente interpretabile, nei popoli della Valle, anche per una nota carenza di necropoli, che in genere aiutano a capire la spiritualità dei popoli antichi. Non si hanno elementi per poter pensare a un culto specifico dei morti. Dalle incisioni rupestri si deduce che la sfera religiosa era fondamentale sia per l'organizzazione sociale che economica dei popoli della Valle. Questo fatto fu comune a tutte le popolazioni di matrice celtica che popolarono l'Europa nel periodo che abbiamo già menzionato. Nella fase finale della loro storia è molto probabile che i Camuni siano stati soggetti all'influenza celtica e in ambito religioso si possono trovare riscontri, a partire dal fatto che alcuni autori latini, come Cesare e Lucano, ci parlano di feste religiose all'aperto celebrate dai Celti, attraverso danze sacre e processioni nei boschi e sui pendii della Valle, ma i Camuni del resto utilizzarono le rocce come santuari all'aperto, rocce che dovevano avere posizioni molto ricercate, favorite dall’orografia del territorio. In alcune raffigurazioni camune il corpo del defunto è steso a terra, circondato da un gruppo di persone che gli depongono accanto armi e utensili che gli erano appartenuti; un personaggio più grande, probabilmente il sacerdote, sta di fronte a lui. In alcune scene il defunto appare "sdoppiato", nel senso che una delle due figure ha delle enormi mani aperte e un organo genitale altrettanto evidenziato; l'altra figura non ha né mani né sesso. Ci potremmo trovare di fronte ad uno sdoppiamento simbolico (ritroviamo anche in scene diverse, non funebri, la rappresentazione di uomini dotati di mani e sesso enormi), in cui l'assenza di un'identità maschile o femminile farebbe ipotizzare una sorta di androginia, concetto che riconduce ad uno stato unitario dell'essere originario. Il termine EDOLO, località in provincia di Brescia, potrebbe risalire al celtico IDUL, divinità onorata con svariati riti ancora in epoca alto medievale (resistette fino a quando il cristianesimo riuscì a sradicarne il culto). Il termine BORNO, altra località nella medesima provincia, potrebbe collegarsi alla divinità celtica BORMO, protettrice delle sorgenti e dio della medicina; a rafforzare tale ipotesi vi sarebbero varie sorgenti termali in zona, che erano frequentate fin dall'antichità. Tra le figure animali più rappresentate nelle incisioni rupestri della Valcamonica vi sono gli uccelli, ai quali probabilmente si attribuiva significato divino, per la proprietà di potersi innalzare in volo, quindi considerati i mediatori tra il mondo terrestre e quello celeste. Questo era tipico anche nel mondo celtico, nel periodo dei Campi di Urne e nel periodo Halstattiano dell'Europa centrale. Altra comunanza il culto del sole e il culto del cervo. Il culto solare è ubiquitario, presente nell'arte rupestre soprattutto in Scandinavia, Irlanda, Bretagna, Germania, Monte Bego (oggi nelle Alpi Marittime Francesi), nella regione spagnola dell'Andalusia e in Valcamonica. Si può accennare che in alcune incisioni qui presenti il disco solare a raggi è raffigurato in modo da assomigliare alle corna ramificate di un cervo; raffigurazioni di epoche diverse mostrano certi graffiti circondati da oranti e da danzatori sacri; in fase posteriore compaiono divinità costituite da una figura per metà uomo e per metà cervo con grandi corna ramificate; in epoca successiva è un dio cervo ormai completamente uomo, che però conserva le corna. In località Zurla, un simile dio-cervo ha il corpo avvolto da un serpente, che ricorda quello presente su un vaso nordico, proveniente da Gunderstrup, di matrice celtica (questo ci ricorda il dio celtico CERNUNNOS). In Valcamonica sono stati rinvenuti 22 tipi diversi di simboli solari, tra cui quello rappresentato da un cerchio con un puntino al centro, tuttora di incerta decifrazione, ma è interessante notare come anche nell'antico Egitto il sole venisse rappresentato nel medesimo modo. In alcune popolazioni orientali le parole che designano le corna degli animali (non esclusivamente cervi) e i raggi solari hanno una radice comune o sono addirittura identiche, mentre in ebraico il termine keren significa sia raggio che corna; in Medio Oriente il nome del dio Baal Karnaim significa letteralmente "signore delle corna", ma Baal è anche il dio del sole. Questo per indicare come il nesso sole-cervo affondi le proprie origini in tempi imprecisati, al di fuori dell'Europa e con significati più profondi di quelli dell'associazione con il semplice mondo agreste. Per la particolarità dell’area Camuna, densa di vegetazione, di alture e vicina ai corsi d’acqua, viene spontaneo pensare che il popolo che vi si era stanziato avesse stabilito un contatto di privilegio con la Natura, in tutte le sue forme. Probabilmente esisteva un Pantheon arboreo e faunistico, sicuramente anche le pietre (lo si intuisce dalle rocce rupestri stesse) avevano un grande valore e sappiamo come una stessa roccia fosse ripetutamente riutilizzata proprio perché considerata "sacra" e così il sito dove essa si trovava. Come vedremo, i Camuni erano riusciti anche ad acquisire una conoscenza astronomica rilevante. I Celti, quando giunsero nella Valle, devono aver assimilato piuttosto facilmente le tradizioni Camune, in molti aspetti molto simili alle loro. Il culto dell'oggetto, che in epoca Camuna più arcaica viene ritenuto in qualche modo sacro, lascia progressivamente il posto al culto dell'eroe, cioè di colui che di quell'oggetto ha la completa padronanza. L'eroe viene deificato, esaltandone la forza, la Potenza e nel corso del primo millennio emerge una mitologia fantastica, caratterizzata da una quantità di riti magici, propiziatori, un nuovo stile artistico, che si traduce in incisioni sempre più complesse, più ricche di concetti, di forze soprannaturali e di riti iniziatici. Nell’Età del Ferro si assiste ad una rivoluzione concettuale, capovolgimento di ideologie religiose, nuovo interesse per la vita, presa di coscienza di se stessi e delle proprie azioni; nascono le divinità antropomorfe, che l’uomo creò a propria immagine. La materia si anima di uno spirito e tutto quanto è in essa, montagne, sorgenti, boschi, tutta la natura si ammanta di divinità minori, di spiriti degli avi e degli eroi, di proprietà malefiche o benefiche, aprendo le porte a quel complesso mondo del soprannaturale che i Camuni hanno assorbito (ma anche scambiato) dalla cultura Celtica. La roccia continua ad supporto sacro su cui eternare per sempre queste nuove concezioni. b) scene di guerra e di artigianato: gli scambi commerciali Alcune figurazioni mostrano scene di lotta che si svolgono secondo "il canone celtico", che vedono come protagonisti dei guerrieri che recano uno scudo con la tipica forma ovale dello scudo celtico. E’ il periodo finale della Cultura Camuna (durante l’Età del Ferro), la quale appare inequivocabilmente Celtica; pur tuttavia le popolazioni continuano a portare avanti la tecnica incisoria rupestre, a differenza di altre in Europa nello stesso periodo. I Camuni, durante l'età del Ferro, utilizzarono vari tipi di armi, che possiamo riconoscere dalle incisioni rupestri (pugnale, spada, ascia e lancia; uso dell'arco e della freccia); una menzione merita un'arma molto simile al boomerang, che è comune a tutte le popolazioni celtiche: essa era costituita da una sorta di ascia con il manico leggero flessibile, lunga circa mezzo metro che, se lanciata con abilità, tornava indietro in mano al lanciatore. I romani chiamavano quest'arma cateia, e il poeta Virgilio nell'Eneide la include tra le armi da guerra. Su alcune rocce di Naquane si ritrovano tre esemplari di quest'arma. Dall’arte rupestre si intuisce che i Camuni conoscessero bene le lotte fra gladiatori, cosa che si pensa importarono dagli Etruschi, la cui potenza era già estesa nella Valle Padana nel V sec. a. C. I Romani quindi imitarono soltanto una pratica già antica di sette secoli quando la impiegarono. Un’ulteriore analisi comparativa volta ad attestare la "sovrapposizione" delle due Culture, deriva dal fatto che sono molte le raffigurazioni rupestri dedicate alla lavorazione dei metalli, segno che questa attività era molto fiorente nel periodo di datazione delle stesse e che può essere fatto coincidere con l’influenza di una cultura di matrice Celtica. E' noto come i Celti fossero abili artigiani dei metalli, del legno e della tessitura; tutte attività che nell'arte rupestre Camuna sono rappresentate in maniera notevole. Naturalmente l'arte della lavorazione del legno era sviluppata in Valcamonica già da tempi antichi. L’età dei metalli fu un periodo di grande fioritura della società dei Camuni, aiutati anche dal fatto che la loro zona era ricca di minerali metalliferi (e per questo motivo probabilmente molto ambita). Ma le tecniche di lavorazione le appresero, stando al lavoro degli studiosi, dall’esterno, dai fabbri e dagli artigiani della cultura di Halstatt. Poi seppero rendersi autonomi, e svilupparono il commercio, favorendo l’instaurarsi di scambi con tutta l’Europa, con il Medio Oriente e con l’Egeo. L’influenza di varie culture è attestata dai petroglifi pervenuti fino a noi e che progressivamente vengono chiariti dagli studiosi, tramite analisi comparative e prospettiche. Si pensi al cosiddetto "pugnale lunato" (lama triangolare e impugnatura a forma di lunetta perpendicolare alla lama stessa), che compare da noi attorno al 2000 a.C. (nelle incisioni rupestri della Valcamonica si ritrova maggiormente inciso tra il 1800 e il 1250 a.C., non senza modificazioni nella forma e nell’impugnatura). Se ne ritrovano modelli in tutta l’Europa (tombe micenee, monumenti megalitici inglesi, complesso di Stonehenge), ma sono emersi esemplari durante gli scavi a Ur, in Mesopotamia, che risalgono al 3000 a.C. circa; sul finire dello stesso millennio è attestato ad Ugarit (scavi archeologici), e quindi in Egitto, presente durante le dinastie del Medio Regno. E’ stato rinvenuto anche negli insediamenti Anatolici Ittiti, e - come abbiamo già detto - presso la civiltà Micenea in Grecia. E’ da qui, verosimilmente, che si diffonde per l’intero Mediterraneo e verso il II millennio a.C. compare sulle stele dell’Alto Adige, e sulle rocce Camune. Quale via lo portò fino a qui? Forse non il mare, ma attraverso i Balcani (il contatto con la civiltà Micenea è da porsi, infatti, in tempi successivi al 2000 a.C.). Gli studi archeologici hanno confermato come scambi tra la Valcamonica e l’antica Grecia fossero certi: non solo perché le incisioni rupestri mostrano il carro da guerra miceneo condotto da cavalli e armi di foggia micenea, ma perché è stata ricostruita la "via dell’ambra" (3) che, dal Mare del Nord, conduceva all’Adriatico, dove le navi greche attendevano il prezioso carico: dalla Danimarca la strada dell’ambra percorreva il corso del fiume Elba, valicava la catena delle Alpi e passava a non più di sessanta chilometri dalla Valcamonica, poi entrava nella Valle dell’Adige e raggiungeva il mare. I Camuni seppero inserirsi in questo tragitto, favorendo gli scambi commerciali (importazione ed esportazione), e probabilmente anche tradizioni e costumi spirituali. Restano parecchi interrogativi, ad esempio come poteva una cultura che praticamente non scriveva, tenere ordinate dette complesse operazioni; inoltre, sono abbastanza esigue le testimonianze di una matematica utilizzata dai Camuni. Sappiamo anche poco circa il ruolo della donna in seno alla comunità Camuna, così come ancora poco si conosce della loro organizzazione politica e sociale, dei rapporti tra gruppi, insomma sono ancora svariati i punti oscuri di questa millenaria cultura. c) astronomia ed archeoastronomia: nuove evidenze nella comprensione dell'arte Camuna Nel 1962 fu scoperta dall’equipe del professor E. Anati una struttura abitativa, presso il Castelliere situato in località Dos dell’Arca, situato a 450 m s.l.m., a est di Capodiponte. Il prof. A. Gaspani, nella stagione 2000/2001, ha condotto indagini con tecniche satellitari (GPS), georeferenziando il sito ed effettuando misurazioni delle orientazioni delle strutture litiche ivi presenti. Lo studioso ha esaminato la struttura del muro a secco che delimita l’unità abitativa in questione, valutandola archeoastronomicamente ed è emerso qualcosa di molto interessante. Egli infatti ha desunto l’asse della costruzione, in base all’andamento delle strutture murarie rilevate nel sito, e ha notato che la sua orientazione era in direzione occidentale, verso i punti di tramonto delle costellazioni del Centauro, del Sagittario e della Coda dello Scorpione, quest’ultimo asterisco - asserisce Gaspani - già noto in ambito Golasecchiano e, più in generale, Celtico, come obiettivo di allineamenti rilevabili in luoghi di culto presenti nel territorio corrispondente alla Lombardia durante la prima Età del Ferro. Il Castelliere fu posto in opera durante l’Età del Bronzo e l’abitato fu attivo anche durante l’Età del Ferro, durante il periodo celtico della Civiltà dei Camuni. Ha mura di tipo Megalitico. Si accenna come l’analisi archeoastromica delle tombe rinvenute in Val Morina (presso Breno), deponga ancora per una correlazione con il mondo Celtico. Scoperta negli anni 1949-50 e datate al V sec. a.C. (Età del Ferro), la necropoli è formata da sei tombe, ben costruite, delimitate da muretti in pietra a secco, profonde da uno a un metro e mezzo, disposte vicine ad andamento tendenzialmente curvilineo. Trattasi di tombe a inumazione corredate di suppellettili ceramici e in bronzo e hanno la particolarità che le prime tre presentano il defunto posizionato con il cranio rivolto verso est, le altre tre rivolto verso ovest. Nella prima il corpo è stato deposto nella nuda terra; il cranio presenta due fori nella nuca, che risalgono con tutta probabilità all’epoca della morte. In seguito ad una approfondita analisi di tipo archeoastronomico, il prof. Gaspani è giunto alla deduzione che la disposizione tombale attribuita dai Camuni a queste tombe, potrebbe rifarsi a determinate feste Celtiche a noi note (4). L’orientazione di tutte e tre le tombe riporta all’usanza frequentemente riscontrata nelle tombe del mondo celtico lateniano (cultura di La Thene). Secondo alcune testimonianze che il prof. Gaspani ha raccolto, similitudini con un’altra necropoli si sarebbero potute forse riscontrare a Pressò, pochi chilometri a est di Pisogne (BS), sulla sponda orientale del lago d’Iseo: anni fa, durante gli scavi per le fondamenta di una casa, vennero alla luce alcune tombe a inumazione delimitate da lastroni in pietra infissi verticalmente nel terreno e, al loro interno, fu rinvenuto materiale osseo consistente, ma la necropoli venne distrutta prima che gli archeologi potessero intervenire. Lo studioso si dichiara più che possibilista sull’influenza Celtica in area Camuna, nella seconda metà dell’Età del Ferro, poiché se ne troverebbero le conferme dalla tipologia delle incisioni rupestri che risalgono cronologicamente a quel periodo storico. L’eventualità che le orientazioni rilevate possano essere dovute alla combinazione di fattori casuali, è praticamente assente. Una menzione particolare merita il simbolo della "rosa Camuna", definita da un contorno quadrilobato che si snoda intorno a delle coppelle (generalmente nove). Gli esemplari, databili con un certo grado di affidabilità, sono collocabili in un periodo risalente al IV periodo Camuno, ovvero tra la fine dell'Età dell'Età del Bronzo e tutta quella del Ferro, quando in Valcamonica c’era l’influenza Celtica. Forse fu un modello mutuato da culture con cui vennero in contatto i Camuni, ma progressivamente evolutosi stilisticamente, morfologicamente. Altri dati depongono per una presenza più antica di questo simbolo tra i petroglifi, in questo caso i Camuni lo avrebbero già conosciuto prima dell'arrivo dei Celti.
Sono circa un centinaio le figure incise su una trentina di rocce, sempre in via di ulteriori rettifiche in base a nuove scoperte. La d.ssa Paola Farina ha messo in evidenza tre tipi di questo simbolo, per stabilirne una catalogazione in base ad alcuni criteri:
Ogni tipo ha tre sottotipi: le rose complete, le rose incomplete, le figure incomplete, che sono più ardue da classificare, perché presentano alcuni elementi che le differenziano dal modello originale. Anche a tal proposito, sorge spontanea la domanda: perché? Se - come si comincia a capire sempre meglio - i Camuni utilizzarono orientazioni astronomicamente significative, anche questo potrebbe trovare una risposta magari da futuri studi in proposito. Il tipo più rappresentato sulle rocce della Valcamonica è il n. 3. Il fatto che anche le "rose incomplete" presentino le file di coppelle ben delineate, fa supporre che prima siano state incise queste ultime, e poi la rosa, che sarebbe stata sviluppata su tali supporti. Quindi, sono le coppelle l'elemento determinante su cui dovremmo basare l'attenzione per penetrare nel significato dell'intero graffito? Inoltre, la disposizione delle coppelle segue uno schema fisso e ricorrente per ciascun tipo di rosa. Ma cosa sono le "coppelle"? Riferimenti astronomici? La più grande rosa camuna nota si trova a Carpene, presso Sellero, nella media Valle Canonica, e misurerebbe 70 x 70 cm. Poco distante da essa ci sono altre due rose di dimensioni minori. La questione che appare estremamente interessante è che su 61 di queste rose camune sono state condotte indagini di tipo archeostronomico, che hanno dato risultati molto interessanti, indicando come la disposizione del simbolo sia stata eseguita con precisi intenti di orientazione astronomica. E' fondamentale che diverse branche della scienza collaborino per poter giungere a conclusioni uniformi nella codifica di questo straordinario museo all'aperto. Dall'archeologia arriva la considerazione che la "rosa camuna" potrebbe intendersi come un simbolo solare, la cui matrice accomuna modelli presenti nelle varie culture di origine indoeuropea. L'astronomia non solo può confermare questa ipotesi, ma fornire dati sorprendenti e affascinanti. A volte ciò si può scontrare con quanto gli archeologi stessi sono disposti ad ammettere, poiché sembra - dalle rilevazioni di tipo astronomico dei petroglifi - che le conoscenze dei Camuni possano andare oltre quello che si è portati a pensare. A questo proposito si consiglia vivamente di leggere il lavoro di G. Brunod (Stima del grado di accuratezza di un allineamento definito da una configurazione di coppelle, esempio della rosa camuna di Sellero, Carpene). Inoltre c’è da segnalare come la grande rosa di Carpene sia stata ritrovata, del tutto simile (anche se in dimensioni minori) e con le medesime orientazioni, in zone geograficamente distanti: incisa sulla Swastika Stone a Woodhouse Crag, sopra la Wharfe Valley (Rombalds Moor, presso Ikley, nello Yorkshire, in Gran Bretagna), databile all’Età del Ferro; incisa a Hovens, in Svezia, che gli studi daterebbero alla fine dell’Età del Bronzo, quindi sarebbe la più antica delle tre. Come si spiega che simboli identici siano situati in località tanto diverse? Ma c'è dell'altro. Secondo lo studioso Giuseppe Brunod, l’esemplare più antico di rosa è da attribuirsi alla cultura Vucedol (5): l'artista ha racchiuso quattro coppelle in una linea curva (che sembra una "rosa camuna"), mentre quelle esterne sono rappresentate da figure a stella. Gli esemplari di epoca successiva, da quanto è dato capire, presenterebbero un movimento più dinamico, più somigliante a quel ‘triskel’ celtico (dico io) che dà l’immagine di un moto (solare), di ciclicità. Però resta da capire un punto importante: in Valcamonica, la "rosa" dai contorni più "irrigiditi" è venuta prima o dopo di quella del tipo chiamato "a swastika"? A questo punto, mentre osservavo le diverse forme della rosa camuna, mi è sovvenuta la sua curiosa somiglianza con il Nodo di Salomone, che è tra l'altro presente - nella forma che ci è nota - anche nelle stesse incisioni rupestri della Valcamonica (che sono probabilmente da datarsi al periodo post-camuno), a Campanine di Cimbergo, roccia n.6; sulla Roccia n. 22 e a Foppe di Nadro sulla Roccia n. 27. Ho pensato che vi potesse essere un’origine comune del simbolo, che - come sappiamo - si ritrova in ogni parte della Terra, in epoche diverse, in contesti diversi, etc. Sarebbe veramente importante riuscire a capire quando la "rosa" (che parrebbe l’antenata del Nodo, tutto sommato) ha assunto determinate forme e perché poi si sia evoluta, assumendo connotazioni morfologiche diverse. Ho quindi effettuato una ricerca mirata in base a queste supposizioni e ho trovato un lavoro particolarmente interessante, che ci porta ancora una volta nel campo dell’astronomia, che forse cela la chiave del mistero ed è ancora a firma di G. Brunod: www.brunod.info/Rosa/rosa3.html. Non solo lo studioso mette a confronto i due simbolismi ma ne risale la matrice originaria, sviluppando tra l'altro dei modelli tridimensionali del Nodo di Salomone in base al ciclo del Sole. Tutto potrebbe essere iniziato da una semplice "U"... Alla luce di questi nuovi tasselli che emergono, da sempre nuove e stimolanti ricerche, si può porsi un ulteriore interrogativo (o, se volete, considerazione). E’ noto che la valle venne conquistata dalle truppe romane. La tecnica incisoria rupestre non scomparve subito, pur perdendo molte delle sue peculiarità, perdurò per secoli. Il Nodo di Salomone, con l’impero romano, sembra diffondersi a macchia d’olio, tanto da divenire un elemento fisso, sia in luoghi cultuali che civili. E’ possibile che i Romani avessero assorbito tale simbolismo, che era ben attestato in Valcamonica? Non sembra troppo "simile" la raffigurazione del nostro Nodo con quello della rosa camuna? Si osservino le foto. (un esempio: mosaico pavimentale della Domus dell'Ortaglia, Brescia, I sec. d.C.) Sembra che anche le coppelle siano in qualche maniera rimaste nell'iconografia posteriore ai petroglifi! In epoche ancora successive, poi, si vedranno Nodi di Salomone che, perdendo questi dettagli, vengono però raffigurati con anelli concentrici, quasi a darci l'impressione dell'intento prospettico! Siamo partiti da molto lontano, parlando dei Camuni e ci ritroviamo a parlare di Nodi di Salomone, come se esistesse qualcosa di impalpabile che unisce con un filo di Arianna la storia, i popoli e le culture. E' importante cercare di seguirne il percorso, ricordando sempre che per quanto ci sforziamo, difficilmente riusciremo ad avere la mentalità di chi ci ha preceduto e inserirci coerentemente in quel contesto; con umiltà è necessario anzitutto individuare ed afferrare il capo del filo. Non è impresa facile, ma, come sempre, tentiamo di fare del nostro meglio per non perderlo. La Ricerca continua NOTE (1) Il monumento fu eretto a La Turbie, sulle Alpi Marittime. (2) Cultura propria di popolazioni prevalentemente agricole, che si presume provenienti da Oriente, da cui portarono il rito funebre dell’incinerazione delle salme e la deposizione delle ceneri nelle urne. (3) L’ambra è una resina fossile prodotta dall’inabissamento di foreste di conifere (dovute a cataclismi del passato), che si deposita sulle coste dei mari nel nord Europa soprattutto; fu utilizzata per la fabbricazione di molta oggettistica, dai manici di pugnale agli amuleti, fino ai gioielli perché paragonata all’oro e utilizzata come mezzo di scambio. Le vie dell’ambra note sono state divise in quattro percorsi diversi. Si ritiene che la cultura di Halstatt fungesse da "polo di smistamento" commerciale. (4) Nell’analisi del prof. Gaspani si legge: ”Nella direzione individuata dall’azimut medio di orientazione delle tombe del primo gruppo, poteva essere osservata la levata del Sole nel giorno del solstizio d’estate durante il V-IV sec. a.C. all’orizzonte naturale locale rappresentato dal profilo delle alture poste ad est-nord-est. […] Esiste anche una correlazione stellare: si osservava bene la levata eliaca di Regulus, nella costellazione del Leone (la più luminosa); a quell’epoca era nella prima decade di agosto e siccome la necropoli risale al periodo in cui in Val Camonica era presente l’influenza Celtica, potrebbe forse essere possibile ipotizzare una correlazione con il periodo di celebrazione della festa Celtica di LUGHNASA o dell’equivalente camuno che, durante l’Età del Ferro, avveniva nei primi giorni di agosto. Usualmente, questa data era legata – per i Celti - al sorgere eliaco di Sirio ma anche di Regulus (levando eliacalmente in quei giorni, poteva rappresentare un indicatore temporale altrettanto valido ed accurato ai fini della pianificazione della festa)”. (5) Cultura di Vucedol: sviluppatasi tra il 3000 e il 2.400 a.C. circa, sapeva lavorare abilmente il rame; è stata attestata presso Vukovar, vicino all’attuale confine orientale della Croazia con la Serbia, a metà strada tra Ungheria e Bosnia, dove i fiumi Danubio e Vuka si incontrano. Le condizioni climatiche e l’ambiente naturale avrebbero favorito l’insediamento umano fin dalla preistoria. Tra le culture più importanti della zona, quella di Vucedol, prende il nome dal luogo situato 5 km. a sud di Vukovar, sotto il Danubio. La cultura è coeva a quella ben più nota Egizia e Sumera; sembra che avesse sviluppato uno dei più antichi calendari d'Europa. Con gli eventi bellici del 1991, sembra che alcuni reperti siano stati danneggiati; oggi sono conservati all'Eltz Palace. Uno degli ornamenti di rame più conosciuti è la colomba di Vucedol (alcuni manufatti visibili qui mirror.veus.hr/darko/gif/vucedol.jpg). Fonti
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Fonte: www.duepassinelmistero.com |