LE PRESUNZIONI DELLA SCIENZA

IDEE PER UNA SCIENZA UMANA E NATURALE


LE PRESUNZIONI DELLA SCIENZA

I - II

C'è qualcosa di presuntuoso all'origine della formazione della scienza moderna. Indubbiamente nel periodo compreso tra il 1543, anno della pubblicazione del De Revolutionibus di N. Copernico, e il 1687, in cui I. Newton pubblicò i Philosophiae Naturalis Principia Mathematica, erano giunte a maturazione le esigenze della borghesia, mercantile e soprattutto manifatturiera, di separarsi dalla tradizione teologica della chiesa romana, che pur aveva posto le basi, con alcuni intellettuali della Scolastica (Roscellino, Abelardo, Duns Scoto, R. Bacone, Occam...), di un affronto piuttosto laicizzato della conoscenza logica, filosofica e scientifica.

In quel suddetto periodo infatti si è sviluppato enormemente non solo il pensiero umanistico, ma anche quello protestantico: l'uno laico-intellettuale, l'altro religioso-popolare, entrambi avversi alla teologia cattolica. La differenza tra gli intellettuali razionalisti e tendenzialmente miscredenti della Scolastica e i nuovi intellettuali laici o riformati della borghesia moderna stava nell'esigenza di portare le cose alle loro più logiche conseguenze.

Non era più ammissibile che lo sviluppo del pensiero laico-razionale, espresso da vari teologi del basso Medioevo, dovesse continuare a stare sottomesso a una cultura ancora fortemente conservativa, in quanto controllata da una politica ecclesiastica corrotta o quanto meno retriva. Al portone, già sconnesso, di Santa Romana Chiesa bisognava dare ulteriori spallate, e queste vennero appunto dal mondo della scienza, e più precisamente da quegli accademici nettamente anti-aristotelici (Copernico, Keplero, Galilei, Cartesio, F. Bacone, Newton, ecc.).

È curioso osservare come, mezzo millennio prima, era stata proprio la riscoperta dell'aristotelismo a mandare in soffitta l'agostinismo neo-platonico che aveva dominato per tutto l'alto Medioevo. Anche allora s'era avuto un atteggiamento presuntuoso: quello di fare della fede un argomento razionalistico, ovvero di subordinare alle pretese della ragione l'esperienza religiosa. Ci si comportò invece assai meglio quando si preferì tenere separate le due facoltà umane, permettendo a ognuna di esprimersi liberamente.

E fu proprio sulla base di quella separazione che nell'Umanesimo e nel Rinascimento continuò a svilupparsi un pensiero laico-umanistico e, per molti versi, tecnico-scientifico (si pensi solo al contributo di Leonardo da Vinci) che inevitabilmente, prima o poi, doveva portare a una vera e propria rivoluzione scientifica.

Perché diciamo che questa rivoluzione si basò su una forma di presunzione? Certamente non perché volle staccarsi ancora più nettamente dalla teologia cattolica, rappresentata soprattutto dal tomismo. Ma per altre due ragioni.

La prima è che i moderni scienziati borghesi volevano escludere dall'indagine scientifica anche qualunque apporto di tipo etico o filosofico. Essi infatti partivano dal presupposto che qualunque cosa non potesse essere dimostrata empiricamente (in laboratorio) o razionalmente (con le scienze matematiche), non avesse alcun valore probante.

La scienza moderna presumeva d'avere una ragione inconfutabile proprio perché riduceva la realtà a un esperimento tecnico o a una espressione algebrica, in cui gli aspetti fisici e matematici potessero convalidarsi a vicenda. Per timore d'ingerenze clericali, questi scienziati avevano rivendicato un'autonomia assoluta, una ricerca autoreferenziale, indipendente non solo dal consenso della chiesa (e questo era più che legittimo), ma anche da quello della società. La collettività veniva usata solo a titolo di conferma di verità scientifiche stabilite preventivamente.

La seconda ragione che ci autorizza a parlare di presunzione è che questi scienziati si pongono l'obiettivo di usare la scienza e la tecnica per "dominare" la natura, nel senso di sottometterla. In tal modo non fanno che trasferire l'arroganza clericale di controllare le anime dei fedeli e, con esse, i loro corpi, a un campo molto più esteso, esterno ai soggetti umani, che fino a quel momento non s'era potuto "dominare" per mancanza di una conoscenza scientifica specializzata e quindi di una idonea strumentazione. L'unica che si aveva, nei rapporti con la natura, era quella orale che si trasmettevano le generazioni contadine e che includeva quella delle erbe terapeutiche.

Questi scienziati moderni erano presuntuosi perché egocentrici e anti-ecologici. Ma con questo non si vuole affatto sostenere che la posizione anti-scientifica della chiesa romana fosse giusta. Tutt'altro: essa era non meno prevaricatrice. Anzi, sotto questo aspetto si può ipotizzare che l'autoritarismo della moderna scienza borghese non fu che un figlio, seppure ad essa ingrato, della tradizionale arroganza della chiesa romana.

Semplicemente qui si vuole sostenere che quella rivoluzione scientifica non costituì affatto una vera alternativa all'integralismo politico e ideologico della fede religiosa. E qui non stiamo parlando del fatto che le teorie meccanicistiche di quegli scienziati vennero smontate, una dopo l'altra, già a partire dalla seconda metà dell'Ottocento, in virtù di uno sviluppo della scienza tendente a valorizzare aspetti di caos, indeterminazione e relatività che il meccanicismo vedeva come fumo negli occhi.

Stiamo parlando del fatto che una scienza che si vuole separare dall'etica, da un discorso complessivo sulla realtà, che tenga conto di tutti i bisogni umani, ovvero da una riflessione di tipo olistico, sistemico, integrato sui processi umani e naturali, rischia, molto facilmente, di diventare una scienza che, nella sua arroganza, è molto pericolosa, non meno di quella teologia che vuol dominare le anime col senso del peccato e con la paura dell'inferno.

Oggi, infatti, nonostante gli sviluppi di una scienza antitetica a quella meccanicistica, ancora non siamo riusciti a impostare un discorso scientifico che sappia fare dell'etica il suo obiettivo finale.

Detto questo, si può ora azzardare una cosa che sicuramente ai cultori della scienza non piacerà. Se si guardano le cose in maniera etica, mettendosi dal punto di vista dell'essere umano, noi dobbiamo arrivare a dire, in tutta tranquillità, che non solo nell'universo non esiste alcun dio, ma anche che l'uomo è l'unico essere vivente e che, per questa ragione, va ricollocato in una posizione centrale.

L'universo esiste da sempre ed è infinito nello spazio e nel tempo. Ebbene la seconda rivoluzione copernicana da fare sarà proprio quella di dimostrare che anche l'essenza umana è eterna e infinita, e che la condizione che vive sulla terra non è l'unica possibile.

METTERE LA RETROMARCIA

Dovremmo chiederci il motivo per cui il nostro pianeta ha avuto bisogno di 4 miliardi di anni prima di poter essere abitato da noi. Supponiamo infatti di dover popolare l'universo. Se per rendere abitabile un pianeta, ci volesse un tempo così lungo, la cosa sarebbe impossibile o comunque non avrebbe senso tentarla.

In questo momento noi stiamo cercando dei pianeti che abbiano almeno l'acqua, dalla quale si potrebbe ricavare l'ossigeno, cioè la vita. Ma sappiamo bene che la vita non ha bisogno solo di ossigeno. Bisogna porre le condizioni perché essa si possa riprodurre automaticamente, senza intervento umano. La natura ha proprio la caratteristica d'essere indipendente dalla nostra volontà.

In realtà noi siamo lontanissimi dal poter porre le condizioni perché nell'universo si possa formare, su qualche pianeta, una natura del tutto autonoma. Tutto quello che potremmo fare, al di fuori del nostro pianeta, sarebbe di tipo artificiale. Persino sulla Terra non siamo in grado di garantire alla natura una sua riproducibilità del tutto naturale.

Chi pensa, in questo momento, di poter popolare l'universo, nelle condizioni artificiali in cui ci troviamo, perde solo il suo tempo. Occorre prima che la sostanza del nostro essere assuma una nuova forma, adatta a vivere nell'universo.

Al momento possiamo soltanto chiederci come salvaguardare integralmente la natura del globo terracqueo, poiché questo, per permettere a noi di esistere, ha avuto bisogno di una gestazione incredibilmente lunga, tanto che ci vien quasi da pensare a una sorta di unicità in questo "esperimento" dell'universo. Non è possibile pensare che, una volta che il genere umano avrà acquisito la capacità di abitare il cosmo intero, ci voglia un tempo altrettanto lungo per costruire altri pianeti abitabili.

Noi, quando facciamo scienza, possiamo facilmente constatare di non aver bisogno di ripetere tutto il percorso di chi ci ha preceduto. Siamo abbastanza intelligenti da capire che possiamo partire dalle ultime cose che sono già state compiute. Grazie al fatto che abbiamo, in qualunque momento, la possibilità di posizionarci, come nani, sulle spalle dei giganti, possiamo esportare facilmente scienza e tecnica là dove si è ancora all'età della pietra. Il progresso, grazie all'uomo, diventa molto veloce. Può darsi quindi che, quando dovremo realizzare l'obiettivo di popolare l'universo, potremo fare la stessa cosa.

Il problema semmai è un altro. È il criterio di trasmissione del nostro progresso scientifico che andrebbe messo in discussione. Noi abbiamo fatto della scienza e della tecnica l'occasione per distruggere la natura, ponendoci fuori dalle condizioni di spazio-tempo in cui ci è stato chiesto di vivere. Cioè abbiamo voluto dimostrare una nostra capacità di trasformazione che è andata ben oltre i limiti di agibilità che la natura ci aveva consentito.

La natura infatti non può sopportare elementi che minaccino la sua esistenza, tanto più che questa ha avuto bisogno di oltre 4 miliardi di anni per assestarsi e consolidarsi in maniera definitiva. I delicati equilibri che in questo lunghissimo tempo si sono creati, non possono essere violati impunemente, meno che mai se lo vengono oltre un certo limite di estensione o d'intensità.

Quindi dobbiamo aspettarci una sorta di gigantesco meccanismo di autodifesa, che sicuramente ci coglierà impreparati, in quanto non siamo abituati a rispettare l'ambiente in cui viviamo. Scatterà in maniera automatica un allarme rosso, che noi stessi usiamo quando si supera una certa soglia di pericolo. Considerando che abbiamo devastato l'intero pianeta, le conseguenze dovranno per forza essere planetarie.

Se si guardano p. es. i deserti, si ha l'impressione che, piuttosto che permettere all'uomo di continuare a esistere, la natura preferisce, in un certo senso, mutilarsi, cioè tagliarsi il piede incancrenito per salvare la gamba, nella speranza che su quel che resta l'uomo si comporti con più attenzioni e premure.

Noi dunque dobbiamo aspettarci una reazione a catena prodotta da una arbitraria antropizzazione artificiale della natura. Ed è molto probabile che ciò avverrà contemporaneamente su più livelli, come p. es. l'innalzamento dei mari in seguito allo scioglimento dei ghiacciai, artici e non, causato dal surriscaldamento del clima, che provoca temperature e fenomeni atmosferici sempre più fuori norma e che rende l'aria sempre più nociva e irrespirabile; senza poi considerare che l'allargamento del buco dell'ozono può farci ammalare tutti di melanoma.

Se la natura inizia a collassare su aree molto vaste, il genere umano dovrà ridursi sensibilmente di numero. Ma questo, nelle attuali condizioni di particolare antagonismo sociale planetario, può voler dire soltanto portare il livello di conflittualità ai limiti di una nuova guerra mondiale. Noi stiamo andando in quinta, a tutta velocità, quando invece dovremmo mettere la retromarcia.

Che cos'è il Positivismo?

Che cosa vuol dire "positivismo"? Vuol dire culto della scienza e della tecnica. E, come tutti i culti, si tratta di una forma di religione o di misticismo, ancorché espressa laicamente. Questo perché oggi la scienza teorica e la tecnica pratica vengono utilizzate in maniera magica, come panacea per la soluzione di ogni problema.

Tale culto per la scienza è stato usato per eliminare la dipendenza nei confronti della religione, ma proprio per il suo carattere feticistico, esso in realtà ne ha riprodotto le caratteristiche essenziali. L'uso della scienza appare quindi come la veste laicizzata dell'uso che ieri si faceva della fede religiosa.

Per poter esistere, cioè essere se stessi, oggi si deve credere nel potere assoluto di qualcosa che promette di agire in maniera onnipotente, risolutiva, usando mezzi tecnologici. Questo modo particolare che noi europei abbiamo di usare la scienza (e che abbiamo trasmesso a tutto il mondo), ci proviene dal modo particolare con cui abbiamo realizzato il cristianesimo, prima nella forma cattolica, poi in quella protestantica.

Chi pensa di liberarsi del cristianesimo limitandosi a usare lo strumento della scienza e non si preoccupa di verificare che l'uso della scienza sia davvero "scientifico" e non "mistico", confonde la realtà coi propri desideri. La religione è il riflesso di rapporti sociali alienati, ma lo è anche la scienza, se questi rapporti non vengono superati.

Nei confronti della scienza e della tecnica non si può essere ingenui. Non si può sostenere che tutto dipende dall'uso che se ne fa. Noi viviamo in una società (che appartiene a una civiltà storica, quella caratterizzata dal potere del denaro che si autovalorizza) in cui è l'ideologia dominante, cioè delle classi sociali al potere, che influenza notevolmente le modalità d'uso di qualunque cosa.

In ultima istanza, se non si ribaltano i poteri costituiti, non sono certo i singoli individui a decidere come utilizzare democraticamente o umanamente le scoperte scientifiche e le relative applicazioni pratiche. Si può anche usare un tablet per scrivere contro il sistema, ma se questo non viene rovesciato, le parole non potranno certo impedire né lo sfruttamento economico di chi ha progettato questo strumento elettronico e di chi materialmente l'ha costruito, né le sue ricadute negative sulla natura quando sarà obsoleto e dismesso, né gli usi illeciti o illegali che con esso si possono fare.

Il sistema non viene cambiato in meglio usando la rivoluzione tecnico-scientifica. Ogni miglioramento, in questa società, ha il suo prezzo da pagare. Persino davanti alla parola "miglioramento" siamo indotti a pensare che debba essere qualcosa in cui scienza e tecnica giocano un ruolo rilevante. Questo perché è assai raro trovare un pubblico dibattito su cosa davvero dobbiamo considerare utile per l'essere umano.


Le immagini sono prese dal sito "Foto Mulazzani"

Web Homolaicus

Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Scienza -  - Stampa pagina
Aggiornamento: 14/12/2018