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EPOCA CONTEMPORANEA
L'Ottocento inizia in Europa e negli Stati Uniti con l'impegno della chimica farmaceutica di compiere il passo decisivo per superare l'obsoleta fitoterapia. L'obiettivo che si vuole raggiungere è quello di isolare a tutti i costi il principio attivo responsabile dell'effetto curativo, per poterlo purificare e riprodurre in quantità industriale. Gli studi iniziali si orientano su china, oppio e tabacco. Il primo lavoro scientifico fu quello del farmacista F. W. Sertürner (1783-1841), che isolò nel 1805 la morfina dall'oppio grezzo: era il primo alcaloide ottenuto dalla più celebre droga dell'antichità. Egli infatti dimostrò che nelle piante esistono dei corpi organici azotati, i quali hanno funzione basica analoga a quella dell’ammoniaca. Fino ad allora s'era creduto che le piante non contenessero altro che sostanze acide, resine, carboidrati, albuminoidi. Dopo il 1816 sono numerosissimi gli alcaloidi scoperti. Nel 1809 L. N. Vauquelin (1763-1829) separa la nicotina dal tabacco e nel 1826 si ottiene nicotina pura. Nel 1820 P.-J. Pelletier e J.-B. Caventou isolano la chinina dalla china e, successivamente, la caffeina dal caffé e la stricnica dalla noce vomica. Il primo rimedio efficace per il trattamento della malaria impiegato nella storia era stata la corteccia della pianta di Chincona, usata dagli indigeni peruviani da tempi remoti, scoperta dagli spagnoli a Lima nel 1630 e importata in Europa dai Gesuiti. E' appunto dalla corteccia di questa pianta che i due chimici francesi ricavano il principio attivo antimalarico in forma pura: un alcaloide chiamato "chinino". Per molti decenni, nonostante i suoi effetti collaterali, il chinino resterà l'unico farmaco antimalarico disponibile. Tutte queste sostanze (caratterizzate da un comportamento "basico") contenenti azoto e in grado di formare sali in combinazione con gli acidi, vengono chiamate nel 1821 da W. Meissner col termine di "alcaloidi". Un'altra classe di principi attivi (senza proprietà basiche), in grado di dare, scindendosi, glucosio, come prodotto secondario, verranno detti "glucosidi", di cui due saranno molto usati in farmacologia: la digitalina (Roger, 1834) e la salicilina (Leroux, 1839). La scoperta di alcaloidi e glucosidi favorirà enormemente le ricerche di J. von Liebig (1803-73) e di F. Wöhler (1800-82). Liebig arriverà a produrre un estratto di sua invenzione, come alternativa economica e nutriente alla carne. La nuova farmacologia ottocentesca è un fiume in piena, soprattutto in Germania e in Inghilterra, ma anche in Francia e in Italia: R. Buchheim, C. Binz, O. Schmiedeberg, R. Virchow, R. Koch, L. Pasteur, C. Bernard, F. Magendie, A. Giacomini, G. Semmola, A. Cantani... Il farmacista H. E. Merck (1794-1855) fonda nel 1827 la prima fabbrica per la produzione di cocaina e morfina. La rivoluzione chimica avvia il processo di industrializzazione della produzione farmaceutica. Il farmaco diventa un prodotto commerciale-industriale: con 50 kg di corteccia di china si possono ottenere chimicamente circa 2,5 kg di chinino puro. Non più quindi estratti di sostanze vegetali o minerali presenti in natura, ma composti costruiti artificialmente in laboratorio, in grado di svolgere un'azione selettiva sulla parte malata. E i paesi di cultura o lingua tedesca (Germania e Svizzera) dispongono delle principali industrie chimiche, non solo farmaceutiche ma anche quelle di coloranti: Bayern, Geigy, Sandoz, Basf, Hoffman-La Roche, Ciba, Schering, Hoeshst. Il primo farmaco sintetico, clinicamente utilizzato (la fenacetina), viene prodotto dalla Bayern nel 1888; l'anno dopo la stessa casa commercializza l'aspirina. In Italia le prime forme di sviluppo farmaceutico industriale si devono a G. B. Schiapparelli (1823), C. Erba (1853), L. Zambeletti (1864), R. G. Lepetit (1868). La prima farmacopea dell'Italia unita apparirà nel 1892: ora le revisioni vengono fatte dal Ministero degli Interni ogni quinquennio. La chimica di sintesi aveva vinto: era nata una scienza superomistica, per la quale la natura non era più "fine" ma soltanto "mezzo". Alla profonda crisi dei valori etico-religiosi professati dalle confessioni europee, alle contraddizioni generate dalle società borghesi, tutte concentrate a massimizzare i profitti, in opposizione ai loro stessi ideali di uguaglianza, giustizia e libertà affermati in sede giuridica e politica, il capitalismo risponde accentuando il lato tecnico-scientifico della propria cultura, nell'illusione di poter trovare qui risposte più convincenti a propri problemi. E così, non essendoci più un progetto politico che possa essere condiviso dall'intera società, o dalla sua stragrande maggioranza, che possa soddisfare esigenze generali (la borghesia ha tradito le rivoluzioni del 1848), la scienza preferisce separare l'uomo in tanti frammenti isolati. Alla cura del malato viene sostituita la cura della malattia. Per l'efficacia della medicina la volontà di guarigione del paziente diventa del tutto irrilevante. Grandi concentrazioni di principi attivi in pochi grammi sono più sicuri di qualunque altra terapia naturale. In realtà le cose non andarono esattamente così. I nuovi farmaci di sintesi, infatti, se eliminano o attenuano i sintomi più gravi di malattie che prima, con tempi più lunghi, si potevano curare con erbe naturali, non sono però in grado di ridurre l'incidenza delle infezioni che all'inizio del Novecento costituiscono ancora la maggior parte delle manifestazioni patologiche dell'umanità, anche se sempre più sistematico diventa l'impiego del chinino per la malaria e di vari sieri e vaccini per altre gravi malattie, come p.es. il tetano e la difterite. La scienza infatti non è capace di far assumere al paziente delle medicine che oltre a uccidere i germi patogeni non gli danneggino altri organi. Un nuovo farmaco, messo in commercio nel 1910 per combattere la sifilide, il salvarsan, derivato dall'arsenico, sembra aprire una nuova strada contro le infezioni. Per il suo lavoro sull'immunità lo scienziato tedesco P. Ehrlich (1854-1915) ha ricevuto, assieme a I. Mechnikov (1845-1916), il Nobel per la medicina nel 1908. Maggiore successo tuttavia, rispetto alla lotta contro la sifilide, hanno le sue idee sulla chemioterapia, di cui è fondatore, contro le malattie infettive. E' la prima vera esperienza di farmacologia sperimentale, in cui si fanno test clinici su una serie controllata di pazienti. Una premessa fondamentale all'impiego successivo prima dei sulfamidici, che saranno negli anni Trenta i primi veri prodotti efficaci in gran parte delle malattie infettive, grazie al ricercatore della Bayer, Gerhard Domagk, e all'Istituto Pasteur di Parigi; poi degli antibiotici, che partendo dalla scoperta casuale della penicillina (estratto di muffa) da parte di A. Fleming nel 1928, troveranno ampie applicazioni cliniche e produzioni industriali soprattutto negli Usa durante la II guerra mondiale. La chimica poi scopre gli ormoni (1905) e le vitamine (1911), facendo passi da gigante sulla strada della conoscenza dei processi biochimici che stanno all'origine dei meccanismi fisio-patologici dell'essere umano. Si scopre p.es. che talune malattie come lo scorbuto, il rachitismo, la pellagra sono dovute a carenze di vitamine. Tuttavia l'abbinamento di farmaci a business rende questi ritrovati chimici patrimonio di poche persone. D. Bovet, dell'Istituto Pasteur, offre nel 1937 un contributo fondamentale riguardo a prodotti chimici del tutto inediti, ad azione antistaminica e antidepressiva, che verranno largamente impiegati nei manicomi verso la metà del Novecento. Nel 1957 questi studi e i successivi approfondimenti gli varranno il premio Nobel per la medicina e la fisiologia. La rivoluzione psicofarmacologica, da lui inaugurata, diventerà impetuosa. Nel 1949 il dottor F. S. Hench, della clinica Mayo Foundation di Rochester nel Minnesota, comunica formalmente alla comunità scientifica che il cortisone, un corticosteroide sintetico derivato dalla ghiandola surrenale trovato nella bile del bue, possiede proprietà antinfiammatorie. L'aveva sperimentato con successo nei casi di reumatismi articolari acuti. Tuttavia era necessaria la bile di 4.000 animali per fabbricare un solo grammo di cortisone. Sicché ad un certo punto gli scienziati si rivolsero al mondo vegetale per cercare una pianta da cui fosse possibile estrarlo. Fu così che si scoprì che molte tribù africane avevano usato per secoli lo strofanto, una pianta tropicale, come veleno per le frecce durante la caccia. Fin dal 1861 l'esploratore scozzese D. Livingstone aveva scoperto questa cosa, che però non era mai stata associata ai reumatismi. Senonché lo strofanto era molto raro e le successive ricerche finirono per trovare un tubero della giungla messicana: la dioscorea, più facilmente utilizzabile (oggi si usano anche le agavi e le yucche). A partire dagli anni Sessanta milioni di persone cominceranno ad assumere i tranquillanti come fossero un cibo quotidiano: sarà il primo caso di consumismo di massa a produrre farmacodipendenza. Gli antibiotici ormai sostituiscono il cortisone e l'impiego dei contraccettivi (1956) rende l'umanità in grado di controllare le nascite. Iniziano a essere impiegati i primi diuretici e i primi betabloccanti per il cuore. Si diffondono varie vaccinazioni (l'antipolio è una delle più importanti). L'ottimismo medico sembra inarrestabile, almeno fino a quando si scopre, nel 1960, che un farmaco ad azione ipnotica, messo in circolazione da un'industria tedesca, aveva procurato la nascita di bambini focomelici. Questo dramma rende indispensabile scoprire gli effetti collaterali negativi dei farmaci, valutando meglio il rapporto rischi/benefici. Pur essendo evidente che non si possono escludere tali effetti nella somministrazione della maggior parte delle medicine, la scienza chimica non si è arrestata, anzi, a partire dal 1982, si sono sviluppate l'ingegneria genetica e varie biotecnologie molto evolute sul piano scientifico. Nel 1951 è stata pubblicata la prima edizione di una Farmacopea Internazionale, tendente a unificare le varie farmacopee nazionali. Come noto la farmacopea elenca i farmaci in ordine alfabetico, contrassegna quelli di cui le farmacie non possono essere sprovviste, di ciascuna sostanza indica l'origine, i caratteri farmacognostici e chimici, le reazioni di identificazione e i saggi di purezza, le ricette di uso generale e internazionale che devono essere preparate secondo una formula unica, riporta i nomi brevettati di alcuni prodotti sintetici, le sostanze che devono essere tenute al riparo dalla luce o nell'armadio dei veleni o degli stupefacenti, gli apparecchi o utensili obbligatori per le farmacie, le dosi massime di alcuni rimedi per uso orale e per via epidermica, i reattivi e altre cose ancora. Insomma una vera "bibbia" per il medico e il farmacista. |
Le immagini sono state gentilmente offerte da Davide Fagioli