Chiesa e diritti

STORIA DELLE RELIGIONI


Chiesa e diritti. La libertà di stampa

Rogo di libri ordinato dalla Santa inquisizione

Il cattolicesimo ha sempre preteso di essere “religione di stato” e tale vuole essere ancora oggi, quando Benedetto XVI chiede che alla base delle leggi statali, specie in materia di nascita, famiglia, sessualità o fine-vita, vi sia la morale cattolica (benché camuffata da “diritto naturale”). Per questo si è opposto e si oppone alla diffusione di ogni idea contraria a quella della Chiesa, quindi alla libertà di stampa.

Distruggere il mortale flagello dei libri

“Distruggere il mortale flagello dei libri” (Pio VII) fu impegno costante della Chiesa di Roma. Già i primi convertiti al cristianesimo fecero spontaneamente “roghi” di libri ritenuti malvagi, come si narra negli Atti degli Apostoli (19,18-20), e il Concilio di Nicea del 325 ordinò di “bruciare” i libri di Ario e di uccidere chi voleva conservarli.

A metà del V secolo Leone I Magno dispose nell’Epistola 15, 5 che gli scritti degli Apostoli ritenuti apocrifi dalla Chiesa fossero “non solo proibiti, ma ritirati dalla circolazione e dati alle fiamme”. La stessa fine consigliava  il canone IX del II Concilio di Nicea (787) per tutti i libri eretici o anche solo “sciocchi” o contrari alle sacre immagini. Poi, con l’inquisizione, i roghi dei libri si abbinarono sempre più spesso a quelli dei loro autori. Nel 1320 Giovanni XXII, estese la condanna al libro sacro degli ebrei decretando: “Riducete poi in cenere col fuoco il Talmud” (bolla Dudum felicis).

Con l’invenzione della stampa fece un salto di qualità anche la censura. Il Concilio Lateranense V (1515) era già in allarme perché alcuni osavano stampare libri “che contengono errori contro la fede, affermazioni perniciose contrarie alla religione cristiana e lesive della buona fama di persone addirittura rivestite di qualche dignità” e disponeva “che ora e per sempre, nessuno, sia a Roma che in qualsiasi altra città e diocesi, stampi o faccia stampare un libro o qualsiasi altro scritto”, senza previo diligente esame di autorità vaticane, vescovi e inquisitori. Le sanzioni giunsero dal 1572 fino alla pena di morte per i giornalisti dell’epoca come Nicolò Franco, Annibale Cappello e Bernardino Scatolari, fatti giustiziare da Pio V o dai suoi successori.

Nasce l’indice

Nel frattempo la Chiesa aveva anche deciso di inserire i libri “dannosi” per i fedeli, in una lista di proscrizione, istituita nel 1559 per iniziativa del Santo Ufficio, durante il Concilio di Trento, col nome di Indice dei libri proibiti (Index librorum prohibitorum), continuamente aggiornato e soppresso solo nel 1966, dopo il Concilio Vaticano II.

Nell’Introduzione di Clemente VIII all’indice del 1596, in cui comparivano fra l’altro il De Monarchia di Dante, le Satire di Ariosto, il Decameron di Boccaccio, opere di Erasmo, Valla (come il saggio che smascherava la falsa donazione di Costantino alla Chiesa…), Machiavelli ecc, si afferma che dovevano essere posti all’indice tutti i libri già condannati in precedenza da papi e concili o i libri di eretici e quelli che trattano cose lascive o oscene, mentre “le versioni del Vecchio testamento potranno essere date in lettura, se il vescovo lo riterrà opportuno, solo ad uomini dotti e pii”. Veniva infine chiarito che altri libri, eretici o lascivi o sconvenienti solo in alcune parti, potevano essere permessi, purché “siano purgati i passi contrari alla fama, in particolare degli ecclesiastici ma anche dei principi e in generale ai buoni costumi e dalla cristiana disciplina… siano eliminate le lascivie… siano completamente eliminate… le immagini oscene stampate o dipinte.”

Educare e punire

La Chiesa non si limitava, naturalmente, come abbiamo già visto, a “mettere all’indice” i libri da essa ritenuti nocivi. Ne perseguitava gli autori. Ciò per un verso rientrava nella persecuzione dell’eresia col ricorso all’Inquisizione e all’uso degli stessi metodi, ivi compresa la tortura perfino contro i “minori di quattordici anni”, come dice l’autorevole Tractatus de officio sanctissimae Inquisitionis pubblicato nel 1669 dal teologo Cesare Carena.

In esso si discute “se il solo possesso di un libro proibito sia motivo sufficiente per torturare il possessore” concludendo che non lo era se si trattava di persona “che abbia buona reputazione” mentre se “un uomo vive in modo pessimo” era opportuno “torturarlo allo scopo di conoscere i suoi complici, se crede al contenuto di quei libri e se ha insegnato quelle eresie ad altre persone”. Inoltre, aggiunge il Carena, anche se solitamente “non possono essere sottoposti a tortura i minori di quattordici anni” in caso dei crimini di eresia “ritengo che questi adolescenti possano essere torturati, purché siano ormai prossimi alla pubertà e non vi sia, a giudizio dei medici, alcun pericolo per la loro salute”.

Clemente XIII, da parte sua, nel 1766 ricordava con l’enciclica Christianae rei publicae che “non potrà essere eliminata la materia dell’errore fino a quando gli elementi facinorosi di pravità non periscano bruciati”. E non si riferiva solo a i libri, se invocava l’aiuto dei “principi cattolici” che “non senza motivo portano la spada” per distruggere “energicamente gli uomini malvagi”.

Condanne ufficiali della libertà di stampa

Nel 1800 Pio VII affermava: ”La salute stessa della Chiesa, dello Stato, dei Principi e di tutti i mortali… esige che questo potere [quello dato da Dio alla Chiesa] sia tutto da Noi esplicato nel distruggere quel mortale flagello dei libri… E non parliamo soltanto di strappare dalle mani degli uomini, di distruggere completamente bruciandoli quei libri nei quali si dà contro la dottrina di Cristo apertamente; ma anche e soprattutto bisogna impedire che arrivino alle menti e agli occhi di tutti quei libri che operano più nascostamente e più insidiosamente. Per riconoscerli … vi è una facile prova di verità: Dio dice a Pietro: Pascola le mie pecore”. Dunque le pecore di Cristo debbono ritenere salutare per loro quel pascolo nel quale le ha poste la voce autorevole di Pietro, a esso debbono dedicarsi e con esso nutrirsi: e stimare assolutamente peccaminose ed esiziali le cose dalle quali tale voce li richiami e li distolga.” Pecore e gregge, dunque, possono leggere solo quel che decide il pastore…

Nel 1832, nell’enciclica Mirari vos, Gregorio XVI condanna solennemente  “quella pessima, né mai abbastanza esecrata ed aborrita ‘libertà della stampa’ nel divulgare scritti di qualunque genere; libertà che taluni osano invocare e promuovere con tanto clamore”. Ad essa oppone “il sistema adoperato dalla Chiesa per sterminare la peste dei libri cattivi fin dall’età degli Apostoli, i quali, come leggiamo, hanno consegnato alle fiamme pubblicamente grande quantità di tali libri (At 19,19)”.

Questo testo, con l’autorità del papa, proclama come “principio” della Chiesa cattolica la condanna della libertà di stampa. Ciò è ribadito da Leone XIII nella Immortale dei del 1885 (“La libertà, come virtù che perfeziona l’uomo, deve applicarsi al vero e al bene… Ciò che è contrario alla virtù e alla verità, dunque, non deve essere posto in evidenza ed esibito: molto meno, difeso e tutelato dalle leggi”). E Pio XII, nel Discorso ai rappresentanti della stampa Usa del 1946: “La libertà della stampa, al pari di qualsiasi altra libertà, sia essa di azione, di parola o di pensiero, è limitata; non permette ad un individuo di stampare quel che è errato, quel che si sa esser falso o quel che mira a minare e distruggere la fibra morale e religiosa degli individui”.

Chi sappia cosa è errato e falso inutile dirlo… e ce lo aveva già detto del resto il segretario di stato Merry del Val riepilogando nella sua prefazione all’indice del 1929 quel che la Chiesa ha fatto contro la libertà di pensiero e di stampa: “Dal Concilio di Nicea che proibì il libro Thalia di Ario… alla lettera testé emanata dalla Suprema Sacra Congregazione del Sant’Uffizio contro la letteratura sensuale e sensuale-mistica, non è possibile anche solo elencare tutto quello che la Santa sede ha compiuto contro le pubblicazioni offensive della verità…E non poteva la Santa Sede diportarsi diversamente, ché costituita da Dio maestra infallibile e guida sicura dei fedeli… ha il dovere e conseguentemente il sacrosanto diritto di impedire che l’errore e la corruzione, sotto qualsivoglia forma mascherati, entrino a contaminare il gregge di Gesù Cristo” e che le pecore, cioè il fedeli, “accostino le labbra ai facili calici del veleno”. Si riafferma il diritto della Chiesa di decidere in quanto “maestra infallibile e guida sicura” cosa le pecore devono brucare e dove, senza domandarsi il perché…

La negazione di un diritto umano essenziale come la libertà di espressione è stata dunque parte integrante delle dottrina cattolica, per quasi duemila anni. E anche oggi, quando Benedetto XVI va sproloquiando sulla libertà di culto e di coscienza da garantire a tutti, la Chiesa si guarda bene dallo sconfessare la condanna di quella libertà di stampa – senza la quale la libertà di coscienza è parola vuota. E, del resto, come potrebbe ammettere di aver così a lungo “errato” quella Chiesa che si proclama “costituita da Dio maestra infallibile e guida sicura” di verità?

Walter Peruzzi

www.cattolicesimo-reale.it/ora-di-religione/chiesa-e-diritti-la-liberta-di-stampa/


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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Religioni
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Aggiornamento: 14/12/2018