CAPITALISMO E MORALE PUBBLICA

IDEE PER UN SOCIALISMO DEMOCRATICO
L'autogestione di una democrazia diretta


CAPITALISMO E MORALE PUBBLICA

In un paese capitalistico le innovazioni di tipo sociale, quelle che si verificano nell'ambito della società civile, sono sempre una diretta conseguenza delle trasformazioni che avvengono negli ambiti più specifici dell'economia (imprese, banche, assicurazioni, borsa ecc.).

E' puramente illusorio pensare che possa esistere, in tali paesi, una morale pubblica in grado di ostacolare i processi capitalistici.

Una morale del genere potrebbe avere un certo peso solo a condizione che, in ultima istanza, non dominasse la proprietà privata dei fondamentali mezzi produttivi e comunicativi.

Solo se esistesse una proprietà sociale di tali mezzi (né statale né privata, che costituiscono le due facce di una stessa medaglia), la morale pubblica potrebbe opporre una valida resistenza (senza ricorrere alla coercizione) a tutti quei tentativi di affermare un profitto privato contro l'interesse collettivo.

Viceversa, in assenza di tale proprietà, la morale pubblica è destinata a muoversi entro i limiti della logica del capitale, ne siano o no consapevoli i protagonisti.

L'assorbimento o l'integrazione della morale pubblica è un fenomeno lento ma progressivo: la morale cattolica, p.es., ha svolto un'opposizione più significativa di quella protestante, ma anch'essa oggi non ha più niente da dire.

La morale pubblica dei paesi est-europei ha mostrato d'essere più forte di quella cattolica, poiché solo oggi si sta ponendo all'attenzione dei cittadini la possibilità di una svolta in direzione del capitalismo. Ma è fuor di dubbio che la morale pubblica non raggiungerà mai alcun obiettivo finché si limiterà a difendere il passato. E' stato pagato caro il tentativo di superare il timore della rivoluzione borghese, passando direttamente dal tardo feudalesimo al socialismo amministrato dall'alto.

La storia ha dimostrato che non è sufficiente, per salvaguardare la morale pubblica, che il potere sia detenuto da classi di estrazione non borghese. Se la morale pubblica non si trasforma in uno strumento per realizzare la democrazia sociale, che dovrebbe essere il principale obiettivo di qualunque gestione politica del potere, le classi borghesi riusciranno, prima o poi, a imporre il loro criterio di vita.

La morale pubblica, che dovrebbe essere laica e democratica, sociale e pluralistica, ha di fronte a sé due alternative:

  1. o diminuisce la propria tensione ideale e si adegua alla logica del capitale;
  2. oppure si trasforma in lotta politica.

Questa lotta, a sua volta, può essere di due tipi:

  1. quella che si limita a rivendicare diritti e garanzie per i lavoratori, senza mettere in discussione la proprietà privata dei mezzi produttivi;
  2. quella che vuole un rivolgimento istituzionale.

Ovviamente quanto più forte è l'integrazione nella logica del capitale, tante meno possibilità esisteranno di compiere una scelta rivoluzionaria.

Una delle integrazioni più perfette che la borghesia sia riuscita a realizzare è quella basata sul convincimento che:

  1. la proprietà statale dei mezzi produttivi sia l'unica forma sociale di proprietà;
  2. la proprietà privata dei mezzi produttivi sia sempre più efficiente di quella statale.

Il compito fondamentale del socialismo democratico è diventato quello di ricostruire la società togliendo il potere economico alla borghesia e, nel contempo, il potere politico allo Stato, che è lo strumento repressivo privilegiato della borghesia, la quale se ne serve soprattutto in campo fiscale e militare, oltre che come apparato ideologico di persuasione, delegando tutto il resto ai rapporti privati di proprietà.

Una delle grandi illusioni dei cattolici e della sinistra è stata proprio quella di credere che bastasse avere in mano le leve del potere politico per tenere sotto controllo quelle del potere economico. I fatti invece hanno dimostrato che in un paese capitalistico l'economia è sempre più forte della politica e che ogni governo, in ultima istanza, rappresenta gli interessi della borghesia.

SUL CONCETTO DI MORALE UNIVERSALE

L'affermazione di una morale universalmente valida non è stata, da parte dell'ideologia marxista, una sorta di riconoscimento della superiorità della morale borghese rispetto a quella socialista. Come noto la morale borghese presume d'essere universale, anzi d'essere l'unica vera morale universale, in antitesi a quella socialcomunista, che rappresenta invece una morale di classe. In pratica fino ad oggi lo scontro ideologico fra le due morali è consistito nel tentativo di dimostrare quale delle due morali era più universale.

L'ideologia marxista non aveva accettato, fino ad oggi, la definizione di morale universale, perché riteneva che in una società divisa in classi la morale non può che essere di classe, e riteneva che quella del proletariato, essendo questa una classe i cui interessi non sono particolari ma generali, fosse nel contempo una morale di classe e universale, mentre quella borghese poteva essere solo di classe. Nel senso che l'affermazione giuspolitica del carattere universale della morale borghese non poteva essere che necessariamente in contraddizione con la pratica socioeconomica dello sfruttamento del proletariato.

Perché dunque oggi il marxismo democratico concede una certa priorità ai valori universali rispetto a quelli di classe? La risposta è semplice: 1) per avvicinare meglio tutti gli uomini ai propri valori, senza pregiudiziali di tipo ideologico: la verità e quindi il successo del socialismo non dipendono, di per sé, dalla verità di certi postulati teorici, ma dalla capacità di aggregare persone intorno a un progetto di transizione, i cui lineamenti vanno precisati di volta in volta; 2) per indurre la borghesia a cercare una soluzione pacifica, democratica, giusta, alle contraddizioni antagonistiche del capitalismo, senza istigarla alla lotta di classe.

Il socialismo deve dimostrare la superiorità della propria morale non solo nel momento degli acuti scontri di classe o nel momento dell'edificazione della nuova società, ma in ogni momento, anche in quelli pacifici, anche in quelli che richiedono soluzioni di compromesso e una collaborazione reciproca (fra proletariato e borghesia) per risolvere problemi comuni.

Il socialismo deve dimostrare la propria superiorità affrontando la borghesia sul suo stesso terreno ideale, mostrandole una maggiore coerenza fra teoria e prassi. D'altra parte solo così il socialismo sarà in grado di distinguere la dialettica dal dogma, la democrazia dalla dittatura. Già oggi il socialismo ha compreso che se per difendersi dal capitalismo si dovesse usare l'atomica, allora sarebbe meglio perdere il confronto.

LA CULTURA BORGHESE

Se vogliamo dare al termine "cultura" una valenza in sé positiva, dobbiamo assolutamente smettere di credere che la cultura di una civiltà (o anche solo di una nazione, di una regione, ecc.) corrisponda al livello intellettuale dei suoi individui più colti o di maggior rilievo istituzionale, o addirittura al livello di benessere materiale raggiunto dalle classi più agiate.

Il sapere o il conoscere non garantisce di per sé la democrazia della cultura, la sua umanizzazione, e quindi la sua superiorità reale, effettiva, rispetto ad altre culture (ai fini del progresso dell'umanità). Poiché il sapere può anche essere usato per fini antidemocratici, contro gli interessi della stragrande maggioranza degli uomini, soprattutto se è patrimonio di pochi "eletti".

Lo stesso benessere materiale non è di per sé indice di cultura (né di civiltà), poiché esso può essere il frutto di rapporti d'ineguaglianza sociale e di sfruttamento economico, cui sono soggetti altri popoli e altre civiltà. Non a caso nell'Occidente capitalistico, la borghesia al potere non ama che la cultura sia troppo sviluppata, troppo impegnata nel criticare le storture del sistema, poiché ha il timore che le masse scoprano la vera origine del suo benessere o il vero fine del suo sapere, che è appunto quello di far convivere un benessere più o meno elevato con una subcultura più o meno generalizzata.

Lo stesso concetto di "benessere" - che oggi coincide strettamente con sfruttamento, spreco, consumismo, entropia ecc. - andrebbe qualitativamente rivisto. Il benessere infatti o è qualitativo o non è. Se nel progresso quantitativo si dimentica la qualità delle cose, le ricadute si faranno sentire in termini di alienazione e criminalità.

LE ILLUSIONI DELL'OCCIDENTE

Una delle caratteristiche della mentalità occidentale (che fra le altre cose è pure intellettualistica e astratta) è quella di credere che i problemi possono essere risolti limitandosi a conoscerli nei dettagli. La grande diffusione dei computers rientra in questa logica. La stessa esigenza di produrre "enciclopedie" ne risente. Il possesso della vita per noi occidentali è proporzionato al possesso d'informazioni che abbiamo sulla vita.

Una delle grandi illusioni della mentalità occidentale è quella di credere che le contraddizioni si possono risolvere analizzandole: cosa che riflette l'assurda pretesa di far coincidere coscienza ed esperienza dal punto di vista non dell'esperienza ma della coscienza. Criterio della verità, per l'occidentale borghese, non è la prassi, ma l'interpretazione corretta del fenomeno. L'illusione del soggetto idealistico è appunto quella di poter formulare una corretta valutazione del fenomeno a prescindere da un proprio coinvolgimento diretto, pratico, esperienziale con le dinamiche dello stesso fenomeno. Per l'idealismo borghese il soggetto è un'entità insignificante, e ciò è paradossale, se si pensa che l'Occidente è la patria dell'individualismo.

Noi viviamo la vita leggendo giornali e libri, osservando tv e cinema, ascoltando radio e telefoni, consultando archivi e biblioteche, fidandoci di osservazioni altrui, e tutto ciò senza provare un vero feeling per le cose che sono oggetto della nostra conoscenza o del nostro interesse. La realtà è una finzione che ci costruiamo o che altri hanno costruito per noi. (La stessa parola "coinvolgimento", nella nostra lingua, ha un'accezione piuttosto negativa, essendo più che altro usata per indicare delle attività illecite).

Noi abbiamo un rapporto falsato con la vita perché la vita ha un rapporto falsato con noi. Tutto è profondamente alienato e alienante, diviso fra ciò che è e ciò che appare, fra ciò che si pensa e ciò che si vive. Ecco perché in Occidente i problemi non si risolvono mai. E come potrebbe essere diversamente, dal momento che i problemi vengono affrontati -come dicono i francesi- au-dessus de la mélée (al disopra della mischia), cioè col pensiero o coll'immaginazione? Quando i problemi si fanno acuti, drammatici, non scatta una partecipazione più stretta della persona, ma una decisione autoritaria, oppure una qualche forma di estremismo aggressivo, che poi è sempre un prodotto dell'alienazione e dell'individualismo che ci caratterizzano.

Da noi il sistema borghese si è sovrapposto come un corpo estraneo alla società che esisteva prima, la quale, pur con tutti i suoi difetti, non meritava d'essere snaturata in maniera così vergognosa. Oggi se qualche drammatico problema viene affrontato e risolto, ciò non è mai dovuto allo stile di vita borghese, ma piuttosto agli "antieroi" che resistono con coscienza o per istinto al diffondersi di questo stile. Se tanti gravi problemi non sono ancora scoppiati con la virulenza che ci si aspetta (benché due guerre mondiali e l'esperienza del fascismo non siano stati poca cosa), ciò è dipeso unicamente dall'opposizione alla mentalità borghese.

Tuttavia, oggi siamo arrivati a un punto che il conflitto tra mentalità borghese e anti-borghese non può più sopportare alcun compromesso, alcuna tregua, soprattutto alla luce dei rapporti in corso tra Occidente e Terzo mondo. Occorre che si faccia della tragedia del vivere borghese un'occasione per spingere gli uomini a collaborare attivamente per costruire una nuova civiltà.


Le immagini sono prese dal sito "Foto Mulazzani"

Web Homolaicus

Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Politica - Socialismo democratico
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Aggiornamento: 11/12/2018