La metà di niente è il doppio di niente

IDEE PER UN SOCIALISMO DEMOCRATICO
L'autogestione di una democrazia diretta


LA META' DI NIENTE E' IL DOPPIO DI NIENTE
Riflessioni sul passaggio dall'Ottantanove al Diciassette

Quando si tratta di valutare l'esperienza dell'Ottantanove alla luce del Diciassette la miglior tesi che, dal punto di vista della sinistra progressista, si sente sostenere è la seguente: la rivoluzione francese ha proclamato libertà e uguaglianza, ma la libertà è stata contraddetta da un'uguaglianza mai raggiunta; l'Ottobre ha puntato tutto sull'uguaglianza, eliminando la libertà personale; ergo: occorre trovare una sintesi tra est e ovest.

Detto in maniera così approssimata, il ragionamento incontra meno eccezioni di quante ne incontrerebbe se si scendesse nei particolari; ma, poiché spesso succede che l'ambiguità di certe definizioni fa pensare una cosa mentre in realtà ne produce un'altra, siamo convinti che una breve puntualizzazione gioverà alla causa della trasparenza.

Correlata infatti alla tesi suddetta è la seguente argomentazione ideopolitica: la Dichiarazione dei diritti dell'Ottantanove, pur affermando il valore universale della democrazia, non contemplava i diritti economici, che invece abbiamo acquisito in virtù dell'Ottobre, il quale però è fallito perché non ha accettato sino in fondo quella Dichiarazione: cosa che invece ha saputo fare il socialismo occidentale e che impedirà a quest'ultimo di fare la stessa fine. La riprova della verità di questa tesi sta proprio nello smantellamento del socialismo di stato.

Dunque, mentre la storia politica del concetto di libertà ha raggiunto con l'Ottantanove - stando a detta sinistra - uno dei suoi punti più alti, nonostante gli insuccessi sul piano della giustizia sociale; la storia economica del concetto di uguaglianza ha invece trovato nell'Ottobre una realizzazione molto parziale e riduttiva, alla quale però i paesi ex-comunisti sapranno porre rimedio se accetteranno l'idea di attribuire alla libertà un ruolo di primo piano.

Cos'è che non quadra in questo ragionamento? Fondamentalmente la convinzione che l'Ottobre non abbia saputo affermare, anche in sede politica e proprio in virtù del rilievo dato alle questioni economiche, un concetto di democrazia superiore a quello dell'Ottantanove, ovvero - perché qui bisogna sempre distinguere il leninismo dallo stalinismo - che le degenerazioni cui è andato incontro il socialismo est-europeo siano state un'inevitabile conseguenza della mancanza di democrazia borghese.

Ora, non si vuol certo qui aprire un'indagine storica che ci porterebbe molto lontano dall'economia del nostro discorso, però sarebbe interessante se gli storici verificassero la fondatezza di una tesi opposta a quella appena detta, e cioè: le peggiori contraddizioni del cosiddetto "socialismo reale" si sono avute proprio là dove ha più pesato l'influenza della democrazia borghese, ovvero i risultati ottenuti da un Ottobre "senza libertà" sono stati comunque superiori a quelli dell'Ottantanove "privo di uguaglianza".

Peraltro la Dichiarazione dell'Ottantanove neppure accennava alla democrazia economica. Questa lacuna verrà colmata, in parte, solo dalla Costituzione del 1793, sotto la spinta delle masse popolari, per quanto non si riuscirà mai a modificare qualitativamente la definizione di proprietà, il vero zoccolo duro di tutta la rivoluzione francese.

Il più democratico dei deputati giacobini, Robespierre, sebbene favorevole all'uso collettivo della proprietà, rimase sempre sordo alle rivendicazioni dei contadini poveri e non riuscì mai ad accettare una vera e propria riforma agraria.

Sotto questo aspetto, obiettivamente, il massimo che si potrebbe sostenere è che la rivoluzione francese ovvero la democrazia borghese è stata progressiva solo rispetto all'assolutismo feudale e al suo concetto di rendita, ma da allora, proprio perché non ha mai voluto risolvere il problema dell'uguaglianza economica, questa democrazia rappresenta la quintessenza del conservatorismo, cui, di tanto in tanto, la classe operaia, i ceti marginali, il popolo lavoratore cerca di opporre una qualche resistenza (la Comune di Parigi, ad es., la prima esperienza socialista rivoluzionaria dell'Europa occidentale, è stata un'esperienza più significativa della rivoluzione francese, benché di breve durata e geograficamente circoscritta). (1)

Ma torniamo a noi. La domanda che a questo punto vien spontaneo porsi è la seguente: esiste vera libertà senza uguaglianza? La storia dell'Ottantanove ha semplicemente dimostrato che la libertà appartiene a chi può vantare un certo potere economico.

Da sempre la democrazia borghese sostiene, anche contro l'evidenza dello sfruttamento coloniale e neocoloniale, che, nonostante il fallimento dell'idea di uguaglianza, il valore della libertà rimane integro, universalmente valido.

Da noi in fondo non ci costa nulla sostenere che "la democrazia è un valore universale". Si ha forse coscienza in occidente che la libertà di pochi europei o americani viene pagata con la schiavitù di molti africani, asiatici, sudamericani...? il benessere di pochi milioni con la miseria di interi continenti?

Ci siamo indignati dei gulag sovietici: ma tutto il Terzo Mondo non è forse un gigantesco "gulag" gestito dall'Occidente? La "democrazia" parlamentare che abbiamo la pretesa di esportare in tutto il mondo, non è forse la maschera della "dittatura" del capitale?

Se gli storici liberali (ma anche quelli di sinistra) fossero riusciti a vedere la ricchezza smisurata dell'occidente e la profonda miseria del Terzo Mondo in uno stretto rapporto di causa ed effetto, forse, quando parlavano della situazione del sistema socialista mondiale, avrebbero capito meglio che in questo sistema l'idea di uguaglianza ha cercato di affermarsi da sola, senza l'ausilio di apporti esterni (per quanto sia vero che lo stalinismo ha sfruttato risorse interne in maniera vergognosa; ma che cosa ha fatto, tanto per fare un esempio, il centro-nord dell'Italia nei confronti del sud?).

Il compito di dimostrare come si può vivere la libertà e insieme la giustizia sociale senza colonialismi e imperialismi è così difficile da realizzare in occidente - abituati come siamo a campare sulle spalle degli altri - che sarà quasi impossibile realizzarlo senza immani tragedie e devastazioni. Già Lenin l'aveva detto: se all'est, a causa dell'arretratezza, è duro portare avanti il socialismo; all'ovest, a causa dell'enorme potere della borghesia, è addirittura arduo cominciarlo.

Si badi, nessuno vuol mettere in discussione il valore in sé della democrazia. Fino a qualche tempo fa si diceva che "non c'è democrazia senza socialismo". Oggi, dopo il fallimento del cosiddetto "socialismo da caserma", si dice il contrario, al punto che i nostri ex-comunisti italiani riuscirono ad ottenere da parte della prestigiosa rivista "Kommunist" le scuse d'aver trattato troppo male la segreteria berlingueriana all'inizio degli anni '80 del Novecento, in occasione della crisi polacca (cfr. l'art. di Naumov su "Rinascita", n. 3/89).

In realtà entrambi i principi restano veri: democrazia e socialismo non possono sussistere separatamente. Ma se questo è assodato, non basta più affermare che "la democrazia è un valore universale"; bisogna aggiungere che anche "il socialismo è un valore universale", che da tempo si sta cercando di mettere in pratica e che fino ad oggi ha coinvolto almeno 1/3 dell'umanità.

In effetti, che oggi in Russia si affermi soprattutto il principio secondo cui "non c'è socialismo senza democrazia", lo si può capire in considerazione del fatto che "certo" socialismo è finalmente in via di superamento.

Ma che questo lo si dica da noi, senza aggiungere anche il contrario, significa solo una cosa: fare un favore alla società borghese, la quale ha tutto l'interesse a mascherare il carattere universale della propria dittatura economica col valore universale della propria democrazia politica, come d'altra parte ha interesse a far credere che il socialismo est-europeo si stia "occidentalizzando".

Insomma, si ha l'impressione che la sinistra europea voglia salvaguardare di più le libertà borghesi che non l'esigenza di una democrazia socialista, o comunque voglia sostenere che è più facile alla democrazia occidentale diventare socialista che non al socialismo orientale diventare democratico.

Qui naturalmente non si pretendono, da parte della sinistra europea (quella americana quasi non esiste), affermazioni astratte del tipo: l'uguaglianza socialista, nonostante i suoi grandi limiti storici, resta ancora in questo momento il massimo dell'uguaglianza possibile; oppure: l'Ottobre è stato il compimento e il superamento dell'Ottantanove, ecc. Affermazioni che hanno sempre bisogno di una cento mille verifiche pratiche.

Si vorrebbe però evitare di vedere certi militanti di sinistra sostenere che l'uguaglianza socialista, senza democrazia borghese, è uguale al totalitarismo. Anche perché affermazioni del genere rischiano di portare ad altre, tutt'altro che favorevoli ai lavoratori, come ad es. questa: una democrazia borghese, corretta con elementi di socialismo (i cosiddetti "diritti economici"), rende superflua la rivoluzione.

La storia ha dimostrato che non si può porre in modo adeguato il problema della libertà se prima non si affronta quello dell'uguaglianza, e il problema dell'uguaglianza non può essere affrontato seriamente se non si parte anzitutto da quello della proprietà.

Non a caso proprio sul tema della proprietà le ambiguità della sinistra europea sono le più forti., Anzi, ora che il cosiddetto "socialismo reale" ha dimostrato quanto sia utopica l'equivalenza automatica di "proprietà statale" e "proprietà sociale" o di "proprietà collettiva" e "benessere sociale", sembra che la suddetta sinistra voglia approfittare di questa crisi storica del socialismo per ribadire a viva voce le proprie opinioni sul concetto di "prassi rivoluzionaria", che è il principale mezzo per abolire la proprietà privata dei mezzi produttivi.

Si lascia trasparire un certo fastidio per le rivoluzioni in genere, per il concetto stesso di "rivoluzione", che ormai è stato relegato a una delle forme di politica romantica o, peggio, equiparato alla mera demagogia giacobina.

Ciò che più spaventa la sinistra europea è l'eccessivo dislivello che si verifica in ogni rivoluzione tra gli ideali di giustizia e libertà e la prassi concreta del governo rivoluzionario. Al massimo si concede che l'Ottantanove fu giusto e inevitabile la violenza che si usò, poiché i diritti mancavano e sul piano storico-politico dominava l'assolutismo.

Oggi però è diverso. Oggi - si sostiene - la storia non ha più bisogno della violenza, in quanto appunto si è appreso che la democrazia è un valore universale, che esiste il pluralismo, cioè l'esigenza di rispettare la diversità.

Questo significa che la rivoluzione si può anche fare senza violenza (vedi p.es. quella relativa all'emancipazione femminile). Questa rivoluzione si chiama "riformismo forte", e questo riformismo è decisamente superiore sia al marxismo che al liberismo, sia all'Ottantanove che al Diciassette.

E' senza dubbio vero che l'uso della violenza in un mondo che conosce la democrazia si giustifica sempre meno, ma può una sinistra europea trasformare questa aspirazione etico-politica in una certezza metafisica? Il capitalismo, con le sue leggi economiche, è un milione di volte più violento del più violento dittatore politico e nei confronti di questa violenza, spesso mascherata e apparentemente "legale", il proletariato deve essere pronto a tutto. Chi può dire, a priori, che il capitalismo non userà mai il massimo della violenza per impedire la transizione al socialismo? E come si può essere sicuri che non la userà contro coloro che in questo momento si dichiarano per la "non violenza"?

Certo, con la non-violenza Gandhi ha reso l'India politicamente indipendente, ma forse l'ha fatta anche uscire dal capitalismo? E' vero, con la non-violenza le donne occidentali hanno acquisito molti diritti, ma quanti rischiano di perderne se non collegano la loro emancipazione di genere al più generale processo di emancipazione dal capitale?

In fondo i classici del marxismo hanno parlato così poco contro la violenza non perché la ritenevano giusta e necessaria: la violenza è sempre un fatto mostruoso, ma semplicemente perché un discorso astratto pro o contro la violenza non ha senso. La violenza va verificata caso per caso, di volta in volta.

Sul piano dei principi il proletariato può anche dichiarare d'essere assolutamente contrario alla violenza, ma questo non potrà impedirgli di usare la legittima difesa dei propri interessi, né di praticare la lotta di classe.

L'importante è non legare le mani di un partito o di una classe ad affermazioni di principio che potrebbero creare di fatto situazioni regressive, anche perché una cosa è il socialismo democratico, un'altra la semplice razionalizzazione del capitale, frutto dell'illusione di poter realizzare il socialismo senza lotta di classe, con gli strumenti della democrazia borghese.

D'altra parte la sinistra europea non fa mistero dei mezzi che intende usare per portare l'Europa al socialismo. Essi sono il controllo sull'informazione e sulla produzione economica (nel senso che va salvaguardato l'intervento dello Stato nell'economia, ma anche nel senso di una possibile cogestione dell'impresa, in cui i dipendenti dell'azienda acquistano quote di società, partecipano agli utili ecc.). Ma si parla anche di formazione degli Stati Uniti d'Europa, per cercare di arginare lo strapotere statunitense e le velleità autonomistiche delle maggiori nazioni del vecchio continente, soprattutto le pretese monopolistiche delle loro industrie più forti.

Il rischio è quello di recitare la parte di una comparsa, proprio mentre si crede d'essere dei registi. Dopo il generale pentimento d'aver desiderato un socialismo rivoluzionario, oggi si plaude alle libertà borghesi, fino a ieri giudicate formali e ipocrite. Proprio queste libertà vengono ritenute la metà del nuovo tutto che si vuole realizzare. Ma la matematica non è un'opinione: la metà di niente è il doppio di niente.


(1) Le masse, nelle civiltà antiche, erano viste molto negativamente. Il lavoro era solo per gli schiavi o per chi, pur essendo libero, non aveva sufficienti proprietà. Tutte le civiltà, a partire da quelle egizie, assiro-babilonesi, passando per quelle mediterranee, sono un concentrato di disprezzo assoluto per le masse, in nome dell'affermazione della proprietà privata, della forza, della guerra ecc. Le masse vengono usate per assicurare ricchezze e dominio ai potenti della terra. In netta contrapposizione a quanto era avvenuto per migliaia di anni nella cosiddetta "preistoria".
Le masse vengono alla ribalta, in maniera propositiva, con i fenomeni ereticali di mille anni fa, che sono sfociati nel grande fenomeno di massa che è stata la riforma protestante.
Dopo di allora si ritrovano le masse nel corso delle rivoluzioni francese e americana (parzialmente in quella inglese, che fu piuttosto il frutto di un compromesso tra borghesia e nobiltà).
Le masse sono di nuove presenti nella Comune di Parigi, nelle rivoluzioni borghesi che portarono alle unificazioni nazionali (poi tradite quando la borghesia andrà al potere), nella Repubblica di Weimar, nel Biennio Rosso in Italia e soprattutto nella rivoluzione bolscevica, poi in quella cinese e nelle altre esperienze social-comuniste, in cui alla borghesia subentra l'operaio e il contadino.
Le masse, strumentalizzate dalla borghesia, sono attive, pur contro i loro stessi interessi, anche nel nazi-fascismo, e ovviamente nel suo contrario: la resistenza partigiana.
Fuori dell'Europa sono molto presenti nei processi di decolonizzazione, inaugurati con certa forza a partire dal dopoguerra (p.es. le grandi masse guidate da Gandhi).
Infine in quel fenomeno chiamato contestazione operaio-studentesca che è andato dal '68 al '77 all'incirca.
Questo per quanto riguarda il passato. Nel presente occorre andarle a cercare nell'esigenza di abbattere il socialismo autoritario, quindi nella caduta del muro di Berlino, nel processo di autonomia dei paesi del blocco sovietico ecc. (torna su)


Le immagini sono prese dal sito "Foto Mulazzani"

Web Homolaicus

Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Politica - Socialismo democratico
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Aggiornamento: 11/12/2018