IL SOCIALISMO DI BERLINGUER

IDEE PER UN SOCIALISMO DEMOCRATICO
L'autogestione di una democrazia diretta


IL SOCIALISMO DI BERLINGUER

Spesso, quando a sinistra si parla delle capacità profetiche che ha avuto Berlinguer in merito all'esaurimento della "spinta propulsiva" dei paesi est-europei, si dimentica di sottolineare che quando Berlinguer diceva quelle cose non aveva tanto di mira la democratizzazione del socialismo (come poi in effetti avverrà con la perestrojka di Gorbaciov), quanto piuttosto il superamento in sé del socialismo, sia "reale" che "ideale", in nome di un'accettazione integrale, definitiva, della democrazia "occidentale".

Con Berlinguer, infatti, è nata l'illusione di credere possibile una vera democrazia sociale senza socialismo, cioè senza rivoluzione politica e senza una gestione collettiva dei fondamentali mezzi produttivi.

La parola "riformismo" è subentrata a "rivoluzione" e la cosiddetta "democrazia progressiva" ha sostituito la necessità di un rovesciamento radicale del sistema, che tale si presenta quando, di fronte all'evidenza di contrasti insanabili, di contraddizioni insostenibili, gli elementi più retrivi della società (che gestiscono ancora il potere) non si rassegnano a farsi da parte, ma anzi minacciano di far piombare la nazione nel caos, nel terrorismo e nella guerra civile.

Berlinguer si è illuso di poter far accettare al capitale la sua idea di socialismo riformista, senza rendersi conto che, così facendo, veniva a perdere il consenso di quelle forze popolari veramente interessate all'idea di socialismo, cioè senza rendersi conto che in questa maniera sarebbero emersi quei ceti medi che piuttosto che sostenere una posizione ambigua come la sua avrebbero preferito votare, negli anni Ottanta, un socialismo chiaramente conservatore come quello craxiano, che pur sul piano laico riuscì parzialmente a ridimensionare le pretese della chiesa con la revisione del Concordato.

Berlinguer impose al partito comunista una battaglia esclusivamente parlamentare, venendo a perdere il rapporto con le masse. Non a caso il Pc non seppe mai cavalcare efficacemente la protesta generale che la società civile espresse negli anni dal 1968 al 1976.

La democrazia sociale da lui teorizzata altro non era che una democrazia politica borghese sostenuta dalla giustizia sociale promossa dallo Stato, il quale si doveva porre come correttivo super partes tra capitale e lavoro, quale fattore di riequilibrio delle leggi tendenzialmente anarchiche del mercato. La sua idea di socialismo altro non era che una forma di razionalizzazione del capitalismo, e tale è rimasta ancora oggi nelle file dei democratici di sinistra.

Con Berlinguer il socialismo italiano non mette più in discussione la sostanza del capitalismo, quella analizzata dai classici del marxismo, ma si limita semplicemente a contestarne gli effetti sociali più deleteri, quelli che potrebbero incrinare la fiducia delle masse nelle istituzioni: di qui la sua critica all'invadenza dei partiti negli organi dello Stato, che sinteticamente veniva definita col termine di "questione morale".

In questo senso si è voluto vedere il crollo del "socialismo reale" come una conferma delle idee di Berlinguer (e di altri dirigenti del suo partito). Il comunismo italiano non ha saputo vedere nella perestrojka l'esigenza di democratizzare il socialismo, trasformandolo da statale a popolare, da burocratico ad autogestito, ma ha visto soltanto l'esigenza di abbracciare la democrazia politica occidentale (considerata insuperabile) e, con essa, le leggi del mercato (seppur tenute sotto controllo dallo Stato sociale), nella convinzione che questo sistema sociale funzioni meglio di qualunque socialismo. E il fatto che poi la perestrojka si sia trasformata nelle mani di Eltsin e Putin in un qualcosa che col socialismo non aveva più niente a che fare, ha ulteriormente dato conferma ai comunisti italiani che la strada indicata da Berlinguer era stata giusta, per cui si poteva anche smettere di considerarsi comunisti.

Certamente la perestrojka di Gorbaciov è fallita perché senza una partecipazione popolare delle masse, che si assumono il compito di gestire autonomamente la società, essa non poteva che fallire: nessuna vera riforma può essere imposta dall'alto. Ma altrettanto certamente fallirà l'idea di socialismo esistente oggi in Europa occidentale: un'idea che, non tenendo conto della democrazia popolare, se non in maniera demagogica e strumentale, dovrà per forza far leva sui poteri dello Stato, ancor più di quanto non sia stato fatto nei paesi est-europei. Già il socialismo craxiano s'è rivelato profondamente corrotto e ci vorranno delle generazioni prima che si torni di nuovo a parlare di idee socialiste.

Il fatto è che le contraddizioni del capitale col tempo non diminuiscono ma aumentano: basta vedere la recente crisi finanziaria mondiale, cui i governi hanno cercato di porre rimedio usando le leve dello Stato sociale, che di quella crisi non è stato responsabile. In occidente si usa il "socialismo" solo per rimediare ai guasti catastrofici degli speculatori, dei bancarottieri, degli imprenditori falliti, dei manager truffatori.

Andando avanti di questo passo sicuramente aumenterà l'esigenza di "vero socialismo" da parte delle masse popolari, ma chi saprà a quel punto indirizzarla verso una vera transizione? Anche prima che il fascismo e il nazismo andassero al governo esisteva un forte malcontento sociale: si pretendeva un maggior interventismo statale contro gli abusi delle classi sfruttatrici. Ma come andò a finire lo sappiamo. Queste classi si servirono delle proteste popolari indirizzandole verso una soluzione autoritaria, mascherata da slogan di tipo socialista. Il fascismo proveniva dal socialismo massimalista ed estremista, il nazismo si chiamava esplicitamente nazional-socialismo.

Queste forme di dittatura, in occidente, incontrano scarsa resistenza da parte delle masse, poiché queste s'illudono di poter risolvere velocemente, con mezzi autoritari, situazioni conflittuali divenute troppo complicate per poter essere affrontate coi mezzi consueti della democrazia. Il fascismo è il modo che il capitale ha d'imporsi con la forza dello Stato, dopo che la protesta delle masse popolari è divenuta insostenibile, e la capacità mistificatoria che ha è proprio quella di dimostrare che in virtù di tale protesta si possono effettivamente mutare le cose in meglio.

In questo senso il peggior servizio che il socialismo potrebbe fare alla democrazia, nella lotta contro le tendenze verso la dittatura, è quello di concedere troppo allo statalismo. Lo Stato non può mai essere visto come uno strumento neutrale nelle mani dei governi in carica, meno che mai nei momenti di crisi. O si usano le leve dello Stato per abbattere la resistenza di chi vuol vivere di rendita o sfruttando il lavoro altrui, oppure si fa di tutto per creare una società civile che non abbia bisogno di alcuno Stato.

Quello che si deve assolutamente evitare, anche per non ripetere errori già compiuti, è di statalizzare l'economia: fascismo e socialismo di stato non sono uno il rovescio dell'altro ma due facce della stessa medaglia. Lo stalinismo è stato enormemente responsabile del fraintendimento della parola "collettivismo", eppure ciò che bisogna realizzare è proprio la collettivizzazione sociale dell'economia, la democrazia sociale delle masse, che è l'unico modo per superare efficacemente l'individualismo del produttore borghese e lo statalismo di cui si serve nei momenti di difficoltà e di controllo dell'opinione pubblica.

IL CONCETTO DI DEMOCRAZIA

Il leit-motiv che ha caratterizzato tutta l'elaborazione teorica e politica di Berlinguer, dalla tragedia del Cile al XVI Congresso del Pc, è stato il concetto di democrazia. Con Berlinguer infatti la sinistra italiana sostituisce per la prima volta il concetto di "lotta di classe" con quello di "democrazia politica". La lotta di classe viene a coincidere con la pura e semplice battaglia democratica parlamentare, condotta senza alcuna forma di violenza.

La necessità di far valere agli occhi della pubblica opinione una sorta di non violenza ad oltranza è stata la preoccupazione costante di tutto il suo mandato parlamentare e di tutto il suo impegno politico degli anni '70, fino alla morte avvenuta nel 1984. Tutte le sofisticate elaborazioni concettuali: la terza via, l'eurocomunismo, il compromesso storico, l'unità nazionale, la non-sfiducia, la laicità non ideologica del partito, il nuovo internazionalismo, la terza fase, ecc., sono state funzionali all'affermazione di una democrazia a-classista, non violenta per principio.

Se a Berlinguer gli si fosse ricordato che agli oppressi preme non il sangue ma la giustizia e che se, per ottenere giustizia, spesso sono costretti a bagnarsi le mani di sangue, egli probabilmente avrebbe obiettato che se esiste uno spargimento di sangue, ciò significa che gli oppressi non hanno fatto tutto quanto era loro possibile per evitarlo. Difficilmente Berlinguer avrebbe accettato l'idea che l'oppressore può usare tutta la sua violenza e tutto il suo odio anche di fronte a un oppresso mansueto e servizievole. Egli ha sempre sperato che i capitalisti italiani si rendessero conto da soli dei propri limiti, senza l'ausilio della lotta di classe, e che, in virtù di tale consapevolezza, essi si decidessero a scendere a patti col movimento operaio.

I fatti però hanno dimostrato esattamente il contrario, e cioè che quando le contraddizioni si inaspriscono, per motivi strutturali al capitalismo, indipendenti in un certo senso dalla lotta di classe, gli imprenditori privati fanno di tutto per scaricare sulla classe operaia il peso di queste contraddizioni, e non pensano affatto a dividere con questa l'onere delle responsabilità.

Berlinguer ha cercato di dimostrare al capitalismo che senza l'appoggio del movimento operaio e del Pc il capitalismo non può sopravvivere. Egli naturalmente, nel caso in cui il capitalismo avesse accettato questa tesi, avrebbe poi posto delle condizioni per realizzare tale intesa. Ma il capitalismo ha dimostrato che può sopravvivere anche senza l'appoggio del Pc e della classe operaia, e che anzi questa estensione dalla lotta di classe alla democrazia politica gli è stata molto gradita e necessaria, senza che per questo esso sia stato costretto a scendere a patti e a compromessi.

Se Berlinguer oggi fosse ancora vivo, avrebbe sicuramente accettato con particolare soddisfazione la Dichiarazione di Nuova Delhi firmata nel novembre 1986 fra India e Urss. Essa infatti ha proclamato un'importante principio del pensiero politico contemporaneo: la non violenza come fondamento della vita della comunità umana.

Tuttavia un principio del genere, valido sul piano etico, non si pone affatto in contraddizione con la tesi secondo cui le questioni fondamentali della storia umana vengono spesso risolte con la violenza o con l'uso della forza. La violenza non è certamente un principio eterno dell'esistenza umana, ma da almeno 6000 anni la si deve constatare come un fatto empirico della storia: lo sfruttamento socioeconomico, gli antagonismi di classe, l'oppressione nazionale ecc. generano inevitabilmente violenza. Essi stessi sono fenomeni di violenza, e per eliminarli il più delle volte occorre altrettanta violenza, poiché l'oppressore, lo sfruttatore, finché non vede una resistenza attiva, può sempre pensare che all'oppresso, allo sfruttato la sua condizione sociale, materiale, umana venga accettata con rassegnazione, non sia cioè così insopportabile.

Ma c'è anche un altro aspetto da sottolineare. Lo sfruttato e l'oppresso potrebbero reagire senza usare violenza, limitandosi all'azione politica, sindacale, usando semplicemente la parola, l'azione nonviolenta, la resistenza passiva. Ora, si può forse pensare che queste azioni siano sufficienti per far cambiare tipo di rapporto tra sfruttati e sfruttatori? il fatto è che lo sfruttamento non dipende soltanto dalla volontà degli sfruttatori, ma anche dal tipo di relazione sociale, di rapporto economico-produttivo ch'essi vivono con gli sfruttati e che permette loro di essere sfruttatori indipendentemente dalla loro volontà.

Non basta fare uno sciopero di massa per ottenere minore sfruttamento da parte dei padroni. Fra padrone e operaio (o schiavo o servo della gleba ecc.) esiste un rapporto tale per cui al primo è sempre molto facile riprendersi le concessioni che in precedenza ha dovuto fare. Il padrone è continuamente tentato dalla possibilità di fare il padrone al 100% e non al 90 o al 50%.

Questo cosa significa? Significa che fino a quando permane immutato il rapporto economico di proprietà, è impossibile garantirsi con sicurezza che i propri scioperi politici o altre manifestazioni analoghe possano ottenere dai padroni un regime di vita più umano o più democratico.

Il capitalismo è un regime di oppressione a prescindere, in un certo senso, dalla volontà dei capitalisti. Questa volontà gioca un ruolo importante solo di fronte alla resistenza degli sfruttati, nel senso che essa può contrastare, con più o meno forza, questa resistenza, può cioè, con più o meno intensità, impedire il passaggio a un tipo di rapporto non basato sullo sfruttamento, ma se questo regime di proprietà non cambia, la volontà dei capitalisti non può assolutamente garantire alcuna forma di vera democrazia, di vera giustizia, di vera umanità.


Le immagini sono prese dal sito "Foto Mulazzani"

Web Homolaicus

Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Politica - Socialismo democratico
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Aggiornamento: 11/12/2018