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LA COMUNICAZIONE PROSSIMA VENTURA
E' lo strumento che determina il linguaggio e che induce a cercare nuove regole della comunicazione. Nell'ambito di queste regole è poi possibile veicolare contenuti favorevoli o contrari allo sviluppo della democrazia. Il fatto che passino gli uni o gli altri contenuti dipende non solo dalla capacità e dalla volontà di chi dispone della proprietà o comunque dell'uso esclusivo degli strumenti comunicativi, ma anche dal modo di recepirli da parte dell'utente finale. La proprietà di tali mezzi può essere pubblica o privata (il pubblico, nelle società capitalistiche, ma anche nel "socialismo reale" era così, coincide con lo statale, e lo Stato è, come noto negli ambienti contestativi, uno strumento al servizio di una classe particolare: la borghesia, la quale sostiene che lo Stato è in realtà al servizio di tutti i cittadini). Il fatto che lo Stato sia al servizio di una classe particolare è dimostrato, peraltro, proprio dall'uso che si fa di tali mezzi comunicativi. La capacità di usarli il più delle volte dipende da una volontà contraria alla democrazia, allo sviluppo dei rapporti umani, al rispetto della legalità. Dovendo scegliere cosa rappresentare e legittimare, tra capitale e lavoro, i media dominanti non hanno dubbi di sorta. Chi è più capace di usarli, spesso è anche quello che ha meno interesse a sviluppare la democrazia. Vuole usare i mezzi di comunicazione come mezzi di persuasione delle masse, al fine di acquisire o conservare o aumentare il proprio potere politico o economico. Non è raro il caso in cui si parta dall'acquisire un potere economico con media privati per poterlo poi trasformare in potere politico, dopodiché, inevitabilmente, i due poteri s'influenzano reciprocamente, aumentando entrambi a dismisura. Gli Stati capitalistici contemporanei sono amministrati da una classe borghese che si serve soprattutto della televisione per acquisire e gestire il consenso sociale. Si è scelto questo strumento perché di uso facile e quotidiano, non particolarmente costoso, e perché nei suoi confronti l'utente è abbastanza passivo. Col telecomando l'utente ha l'illusione di poter scegliere i propri contenuti; questa illusione aumenta quando gli viene proposto di pagare un ulteriore canone per vedere cose non possibili attraverso i canali pubblici e privati tradizionali. I "condizionamenti di qualità" sono accessibili solo pagando a parte. Le televisioni private si vantano di non far pagare alcun canone, ma poi fanno della pubblicità la loro principale fonte di finanziamento, e questa diventa così pervasiva da rendere insopportabile la visione di qualunque cosa, senza poi considerare che i costi di quella pubblicità vengono fatti pagare al consumatore quando va ad acquistare i prodotti reclamizzati, che ovviamente costano molto di più di quelli che non lo sono. Per non farsi condizionare dalla televisione, all'utente non rimane che tenerla spenta o addirittura farsi piombare i cavi non pagando il canone. In alternativa oggi può scegliere il web (che peraltro permette anche la fruizione di vari canali televisivi), i cui costi sono quelli relativi all'abbonamento di una connessione sufficientemente veloce, e dove la scelta dei contenuti, la possibilità di gestirli in varie forme e l'interazione-utente sono decisamente superiori. Attualmente la televisione avverte Internet come un pericoloso concorrente, cui cerca di reagire in vari modi (dalla denigrazione allo sfruttamento delle risorse reperibili in rete, sino all'allestimento di siti che duplicano i contenuti trasmessi via etere). La televisione di stato ha provato, negli anni Settanta, a suddividersi in canali di partito: democristiano il primo, socialista il secondo, comunista il terzo. Ma il risultato è stato fallimentare, essendo questo strumento controllato più che dal parlamento dallo stesso governo in carica, che nell'ultimo mezzo secolo, quand'anche è stato di sinistra, non ha mai potuto fare a meno di dividere il potere con le forze moderate del centro, al punto che oggi la sinistra non esiste più nemmeno in parlamento. Oggi la televisione è il mezzo mediale con l'informazione più omologata e conformista di ogni altro mezzo, per cui risulta del tutto inutile. A un'utenza priva di esigenze di approfondimento la televisione serve esclusivamente per ascoltare notizie che equivalgono, come livello di contenuto, alle titolazioni degli articoli usate nei quotidiani. Se il web fosse in grado di sostituire la televisione per il controllo del consenso, i poteri dominanti l'avrebbero già fatto, lasciando a una televisione a pagamento le varie forme d'intrattenimento (film, documentari, varietà, reality...), che richiedono la visione su uno schermo grande. Il problema purtroppo è che la lettura di testi al monitor, alla lunga, risulta fastidiosa o faticosa, anche se si può sempre optare per la loro stampa o per la lettura di giornali e riviste da scegliere in edicola o da ricevere a domicilio in abbonamento. Le news del web dovrebbero poter essere ascoltate in televisione, ma salvaguardando le varie operazioni che si possono compiere al computer: salvataggio, stampa, interazione, ricerche di occorrenze. La stessa televisione non permette alcuna lettura delle proprie news, se si esclude quel servizio correlato ai suoi contenuti audiovisivi chiamato televideo, generalmente poco usato perché non particolarmente versatile nella fruizione, benché tenuto costantemente aggiornato. In ogni caso, per quanto riguarda la lettura, vi sono maggiori margini di scelta dei contenuti orientandosi verso i quotidiani, i quali, essendo prevalentemente sostenuti dai finanziamenti pubblici, possono evitare quella inevitabile omologazione che si verificherebbe nel caso in cui dovessero basarsi soltanto su risorse interne. Infatti se venissero loro tolti i finanziamenti statali, non potrebbero reggersi in piedi né con la pubblicità (che è appannaggio quasi esclusivo della televisione), né con gli abbonamenti (troppo onerosi per un lettore individuale), né con gli acquisti estemporanei presso le edicole o altri centri di diffusione. Molti quotidiani e altri periodici (soprattutto quelli non appoggiati dal mondo industriale) dovrebbe necessariamente chiudere e, di fronte a un'eventualità del genere, difficilmente si solleverebbero proteste popolari, anche perché oggi gli stessi contenuti veicolati attraverso la carta si possono ottenere in maniera digitale, attraverso il web, ad un prezzo incluso nel costo della connettività. Il web è nato come scambio gratuito di materiali: mettere a pagamento le informazioni non ha dato ancora i risultati attesi. Sui quotidiani bisogna inoltre dire che la loro capacità di influenzare le masse, nonostante la maggiore possibilità di scelta che offrono, è decisamente inferiore a quella della televisione, sia perché la loro lettura è più faticosa dell'audiovisione dei contenuti, sia perché la fatica non è solo tecnica (i caratteri di stampa molto piccoli, messi su colonne molto strette), ma anche intellettuale (il linguaggio dei giornalisti, specie per la politica e l'economia ma anche per le pagine culturali, suppone un pregresso di studi che non tutti possono avere). E' probabile che il futuro dei quotidiani sarà esclusivamente quello della rete, in forme e modi ancora da definire, ma che già si possono toccare con mano come quando p.es. si fanno ricerche trasversali nei loro archivi su determinati argomenti. Infatti, il problema principale da risolvere non è tanto quello di trasferire i contenuti dal cartaceo al digitale (questo problema è già stato risolto) o quello di trasferire i finanziamenti pubblici dal cartaceo al digitale (questo problema si risolverà quando tutti i canali televisivi saranno satellitari e a pagamento), ma piuttosto quello di come rendere il digitale facilmente fruibile e consultabile e nello stesso tempo economicamente vantaggioso per chi lo gestisce (è noto che una certa categoria di giornalisti è non meno privilegiata dei politici e, al momento, non potrebbe ottenere dal web gli stessi stipendi che ottiene dal cartaceo, a meno che appunto non si decida di fare un trasferimento di fondi pubblici dal cartaceo al digitale). Per poter leggere le informazioni occorre che il computer si trasformi in un palmare, poco costoso sia come strumento che come connettività, e sufficientemente autonomo nell'alimentazione. Un palmare avente queste caratteristiche e che non sia molto ingombrante non solo può sostituire il computer nella gestione delle informazioni, ma può anche sostituire i quotidiani, la radio e la televisione. Quando l'utente avrà a disposizione dei palmari del genere, potrà gestire le informazioni sicuramente in maniera più versatile, più performante. Con un handicap però di non poco conto. Nel momento in cui un utente accenderà il palmare e si connetterà alla rete, sarà facilmente tenuto sotto controllo nei suoi momenti, nelle scelte operate a favore di questo o quel contenuto, come già si cerca di fare adesso, nel mentre si usa il computer, attraverso p.es. i cosiddetti cookies o intercettando l'ip, e come d'altra parte da sempre si fa, in maniera molto generica, attraverso il televisore, al fine di stabilire l'audience, lo share ecc. I controlli oggi sono già pienamente fattibili nell'uso dei cellulari, a maggior ragione lo saranno domani coi palmari, gestiti anch'essi dalla rete satellitare, che andrà a sostituire definitivamente quella telefonica della rete fissa (o al massimo andrà ad affiancare quella a fibre ottiche). Oggi l'illusione viene prevalentemente esercitata attraverso un mezzo che non permette alcuna significativa interazione: la televisione. Domani verrà esercitata con un mezzo che sul piano tecnologico sarà molto più potente, in grado di soddisfare esigenze più complesse. L'illusione dovrà necessariamente essere più sofisticata. Per ingannare le masse si dovrà puntare sulla stessa capacità concessa loro d'interagire. Noi non arriveremo a fidarci degli altri neppure guardando noi stessi allo specchio. LA PUBBLICITA' DEL SERPENTE INGANNATORE Di ogni parola possiamo dire che esiste una qualche corrispondenza, reale o virtuale. Ecco perché, astrattamente, nessuna parola in sé è "falsa". Le parole sono false quando non corrispondono alla realtà, ma per poterlo dire bisogna prima intendersi sul concetto di "realtà". Sappiamo soltanto che la falsità può essere incidentale o voluta, cioè dovuta a ignoranza o malafede. Non si può sostenere che sono vere solo le parole di cui possiamo "dimostrare" la corrispondenza alla realtà. Non esiste la possibilità di una dimostrazione del genere. E, se esiste, ha un valore molto relativo, cioè circoscritto solo a determinate condizioni ambientali di spazio e di tempo. Non c'è nessun cartello stradale che non possa essere trasgredito sulla base di qualche eccezione. Non c'è nessuna rilevazione statistica che non possa essere interpretata in maniera opposta. Se io dicessi: sto scrivendo queste righe con una penna a sfera e non con una stilografica, potrei facilmente dimostrarlo. Chiunque, da solo, saprebbe farlo, anche osservando la scrittura degli altri. Ma in tal caso avremmo determinato una verità poverissima di contenuto, che non va a incidere minimamente sul significato dei nostri testi, che peraltro sarebbe identico usando qualunque mezzo. Dunque, su certe forme di corrispondenza delle parole alla realtà e viceversa, non val neppure la pena soffermarsi. Non sono queste forme empiriche di verità che ci aiutano a cambiare la vita, anche se indubbiamente con una biro posso scrivere più velocemente e senza timore di macchiare il foglio o le dita. E con questo non voglio affatto dire che la penna a sfera sia stata un "progresso" rispetto alla stilografica, poiché se guardassimo l'impatto ambientale che ha la plastica di queste penne, dovremmo invece pensare a un regresso, senza poi considerare che il costo economico finale di tale operazione di scrittura è di molto aumentato da quando abbiamo iniziato a usare le penne inventate dal giornalista ungherese Bíró nel 1938. Quindi se io dicessi che una qualunque parola è più vera di un'altra, subito mi si dovrebbero porre una serie di domande: in che senso? in rapporto a cosa? da quale punto di vista? E' solo rispondendo a queste domande che posso dimostrare (ma sarebbe meglio dire "mostrare") quanto una parola sia più vera di un'altra. Prendiamo p. es. la parola "dio". Gli atei ritengono che non abbia alcun senso, in quanto indimostrabile. Eppure, in nome di questa parola quante storie e quante guerre si sono fatte? quante esistenze sono state cambiate? Una parola è vera nella misura in cui ci si crede. Anche nei confronti dell'ippogrifo o del minotauro possiamo dire che non sono mai esistiti, eppure essi hanno fatto sognare gli uomini e le donne del passato, li hanno fatti divertire, incuriosire: anche oggi ascoltiamo volentieri i loro miti, che ci inducono a fare riflessioni su quelle lontane epoche. Ci piace pensare che, anche se sono frutto di fantasia, potrebbero essere stati veri. L'essere umano ha un modo di ragionare unico nel suo genere, in quanto è disposto a credere in qualunque cosa, anche in quelle che non si vedono, non si sentono, non si possono toccare. Vien quasi da pensare che non sia stato l'uomo ad avere inventato il linguaggio, ma il contrario. Noi siamo determinati, anzi immersi in un linguaggio che ci precede nel tempo e ci sovrasta con la sua infinita possibilità di sensi e di significati, espressi in un altrettanto infinità di segni e di simboli. Il linguaggio è la forma più espressiva dell'universo, e la sua grandezza sta proprio nel fatto che si rinnova di continuo. Se c'è una cosa che non può essere definita in maniera chiara e univoca è proprio l'espressione linguistica degli umani. La sua bellezza sta proprio nell'ambiguità, la cui evidenza è in fondo soltanto un atto di fede. Una cosa ci appare vera solo se ci crediamo. Non è la "dimostrazione" che ci fa credere nella verità di una cosa, ma il modo come essa si mostra. Quanti divieti sono più efficaci se non si pongono in maniera tassativa, senza possibilità di discussione? Ecco perché, in definitiva, le parole in sé non contano: conta di più il modo in cui vengono dette. Saremmo però degli ingenui se continuassimo a ritenere vere quelle parole che ci hanno incantato per il modo con cui sono state dette, quando sappiamo benissimo che il loro contenuto è falso. Siamo stanchi di credere nel serpente tentatore e nella sua continua pubblicità. |
Le immagini sono state prese dal sito Foto Mulazzani