PAOLO VOLPONI: IL CORAGGIO DELLA DIVERSITà |
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IL SIPARIO DUCALE
Il quarto romanzo dell'autore urbinate esce con Garzanti nel marzo 1975. Dopo l'insuccesso di Corporale, ritenuto dal lettore medio troppo difficile, Volponi fu costretto a rassicurare personalmente, in giro per l'Italia, i librai affinché accettassero Il sipario ducale, la cui scrittura e struttura sono più semplici e lineari. La critica lo accolse bene, giudicandolo un testo "assennato", tutto giocato su due filoni, uno drammatico e l'altro comico-grottesco. Il titolo vuol significare molte cose: il teatrino provinciale nel quale si muovono i personaggi; l'inganno (secondo il punto di vista del professor Subissoni, nel quale l'autore si identifica maggiormente) rappresentato dall'unità d'Italia, che maschera ogni privilegio di classe dietro l'apparente democrazia; infine il sipario allude anche al protagonista-oggetto del romanzo, ovvero la televisione, che propina agli spettatori incantati le sue false verità preconfezionate. Il tempo in cui si svolgono le vicende narrate è quello immediatamente successivo alla strage di piazza Fontana a Milano, alla Banca Nazionale dell'Agricoltura, il 12 dicembre 1969. Due le figure maschili dominanti (l'anziano intellettuale anarchico Gaspare Subissoni e il giovane conte Oddino Oddi-Semproni) e due le femminili (Vivés, la compagna catalana, pure lei anarchica, di Subissoni e la giovane Dirce, povera e non istruita ma innocente cioè estranea al mondo del potere). Urbino. Subissoni e la compagna, in un esercizio pubblico fornito della famigerata televisione, apprendono della strage di Piazza Fontana. I due si sono conosciuti e amati nella Spagna degli anni '30, dove hanno combattuto "dalla parte giusta". Vivés è la prima a capire che per la strage di Piazza Fontana daranno la colpa agli anarchici o ai rossi, mentre i reali responsabili sono i fascisti coperti dai servizi segreti e quindi sotterraneamente dalla parte peggiore delle istituzioni: è la famosa "strategia della tensione" volta a creare le premesse per un golpe di destra. Anche il giovane conte Oddo e le due zie zitelle Clelia e Marzia, vedono la televisione, nel loro palazzo nobiliare, ma la vedono in un modo così passivo e acritico, che si riempiono la testa di luoghi comuni e pregiudizi, peraltro in sintonia con l'ideologia qualunquistica e retriva della classe sociale parassitaria a cui appartengono. Oddo non smentisce il lignaggio degli Oddi-Semproni, da sempre tipi melanconici e poco fortunati (molti di loro nei secoli passati sono morti di morte violenta, sulla strada). Oddo, in più, ha un carattere introverso e stranamente autoritario, incapace di riflettere con intelligenza sulle cose, preso com'è dalla sua figura di nobile. Ha vent'anni, tra poco ne compirà ventuno, raggiungendo la maggiore età, e le zie sono preoccupate perché non ha mai avuto una donna: in paese è giudicato un po' strano, per la verità, e in fatto di sesso si è sempre accontentato dei suoi filmini interiori. Così le zie si rivolgono all'autista e servitore Giocondini, tipo abietto e calcolatore, e gli chiedono di far conoscere qualche ragazza al nipote. Subissoni intanto se ne sta con la compagna, che comincia ad ammalarsi proprio mentre le notizie dalla Tv si fanno più drammatiche: hanno arrestato l'anarchico Pinelli, che chissà come fa un volo dal quarto piano della questura e muore. Poi viene arrestato e incriminato il ballerino anarchico Valpreda, ritenuto inizialmente il responsabile della strage. Oddo intanto viene portato in un postribolo di Fano dal solerte Giocondini. Il giovane, dopo qualche ritrosia, si impone nell'immaginario di quelle prostitute come un superdotato. Giocondini teme che gli sfugga di mano, che Oddo riesca così a liberarsi di lui, progetta di umiliarlo portandolo da una prostituta di Fano che, d'accordo con l'autista, intimidisca il giovane. Ma la donna è malata e concede in cambio la sua serva per la nuova prova sessuale di Oddo. Oddo si innamora così della giovane Dirce, che proviene da una povera famiglia di contadini, e all'inizio ne è ricambiato. Decide che deve essere sua moglie e si accorda con la prostituta di Fano per venire a prendere la ragazza qualche giorno dopo. Mentre è intenta a studiare la strage di Milano e a calmare le ire del compagno, meno maturo intellettualmente di lei, Vivés si ammala e muore. Subissoni, sconvolto, impedisce che la donna venga sotterrata e, rispettando le sue ultime volontà, la fa cremare. Dirce è prelevata e portata a palazzo Oddi-Semproni a Urbino. Qui la diffidenza delle zie, la arroganza e pignoleria dello stesso Oddo, il quale è effettivamente incapace di un amore paritario ed è chiuso in una idea cristallizzata e formale dell'amore, che per lui deve valere anche come premessa di affermazione sociale, tutto ciò insomma provoca lo spavento della ragazza, che non sopporta i cerimoniali assurdi alla quale viene sottoposta e, trascurata anche affettivamente dal giovane, fugge via. In strada cade e si fa male i ginocchi, proprio vicino a casa Subissoni, dove il vecchio piange disperato la morte recente della compagna. E' il segno del destino: Dirce verrà ospitata e nutrita da Subissoni. A palazzo cominciano le vane ricerche, e anche fuori, a Urbino e Fano. Oddo rivuole a tutti i costi la sua donna. Ritiene che sia stata rapita. Giocondini, incontrando il professore, gli chiede aiuto sia per ritrovare la ragazza sia per convincere gli urbinati a promuovere anche politicamente il giovane conte, divenuto, a motivo della sua virilità, un altro simbolo della città, da contrapporre alla nemica Pesaro. Subissoni simula di non saper nulla, mette in scena davanti all'immaginario del meschino autista (il cui sogno reale è conquistare una villa di Oddo, pure attraverso gite e viaggi con la sua auto di servizio, trasportando le zie e il nipote) false piste. Oddo vuole incontrarlo per chiedergli di scrivere un manifesto da appendere nelle pubbliche vie per ritrovare Dirce. A palazzo, Subissoni comprende che: Oddo è un demente e immaturo; Giocondini è il furbo servo che lo corrompe per interesse personale; Oddo non ha mai pensato al benessere dei suoi concittadini ma solo alla sua dignità nobiliare ormai al tramonto. Subissoni insiste che il problema d'Italia è la sua organizzazione unitaria: è preferibile invece, secondo lui, tornare a staterelli-città, che se vogliono confederarsi, lo faranno solo su libera scelta del popolo. Egli sarebbe anche disposto machiavellicamente a passare attraverso una dittatura ducale, poi popolare, per arrivare infine a una democrazia reale del popolo. Ma Oddo va per tutt'altra strada. Il professore parla con Dirce e le dice che è bene fuggire a Milano, perché lì a Urbino ormai sono in trappola e la donna non può nemmeno uscire di casa per non essere scoperta. Fa venire un tassista da Pesaro e partono alla volta della stazione, ma Giocondini viene a sapere tutto da un benzinaio dal quale il tassista si è fermato per controllare le gomme. Oddo e Giocondini si muovono all'inseguimento con la veloce auto dell'autista, il quale però, nell'affrontare una curva, a causa del ghiaccio finisce fuori strada. Il romanzo a stampa termina così, ma nel manoscritto esiste un finale più preciso circa la sorte del conte, il quale muore col cranio spaccato, mentre si capisce che Giocondini si salva tanto che riesce ad alzarsi e vedere il corpo disteso e senza vita del giovane.(1) Di tutto il romanzo il passo che mi è rimasto maggiormente impresso è quello del rimpianto di Dirce nei confronti di Oddo:
(1) v. Volponi Paolo, Romanzi e Prose, volume secondo, Einaudi, Torino, 2002, p. 716 (nei Commenti e apparati). (torna su) (2) Volponi Paolo, Il sipario ducale, ivi, p. 270. (torna su) |
a cura di Leonardo Monopoli
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