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CORPORALE
Joaquín Murieta
Premessa
Questo romanzo segna una svolta nello stile narrativo di Volponi, perché
Corporale ha una struttura complessa, basata sull'accumulazione caotica di
contenuti vari (anche didascalici, oltre che narrativi) e di libere associazioni
nelle quali l'autore razionalizza la logica arbitraria dell'inconscio. Pasolini,
che lo lesse pezzo dopo pezzo, in corso di creazione ed elaborazione, non era
entusiasta, notava un cedimento da parte di Volponi verso la "nemica"
neoavanguardia; in particolare Pasolini non sopportava la confusionalità
determinata dai blocchi narrativi - infatti il romanzo è suddiviso in quattro
parti, alternativamente narrate in prima e terza persona -, non ne sopportava
nemmeno la struttura a suo vedere irrealistica, gli apologhi didascalici,
l'affastellamento delle due figure Aspri/Murieta. Volponi si intestardì e non
accettò i suoi consigli, continuò sulla sua strada perché così "sentiva" di fare
e ne risultò un romanzo sicuramente difficile, ma che per i contenuti
sorprendenti e rivelativi della mutazione antropologica in corso sin dalla metà
degli anni '60, richiedeva un lettore attento e disposto anche a ripetere la
lettura più volte.
Volponi "pretende" che il suo lettore non consumi il testo come un prodotto
della industria culturale, una merce edonistica ed innocua, ma lo usi come
strumento di conoscenza e maturazione.
Lo stesso Pasolini, negli ultimi anni di vita, scrivendo il romanzo
Petrolio, dovette dare tacitamente ragione all'amico urbinate, se è vero che Petrolio
è costruito in un modo analogamente caotico e frammentario; tuttavia non
possiamo darne un giudizio netto, perché l'autore fu ammazzato prima di poter
scrivere la stesura definitiva.
Comunque una cosa è certa: Corporale, pubblicato nel '74 con Einaudi,
è un antiromanzo, basato sulla delusione che il lettore avverte dinanzi al "non
finito": la delusione di chi deve continuare per conto suo, dopo aver imparato
dal personaggio che esce di scena (pirandellianamente) senza "concludere",
a meno che la conclusione non sia proprio quella di cambiare il suo progetto
esistenziale, che prima consisteva nella costruzione di un rifugio antiatomico.
Piacque molto a Elsa Morante, gratificata dalla citazione in epigrafe tratta
dall'opera di lei Pro o contro la bomba atomica, in cui dice
che la bomba atomica è "la espressione naturale della nostra società
contemporanea"... ma poi Volponi e la Morante saranno concordi nel ritenere che la bomba va distrutta con
la poesia.(1)
Piacque in piccola parte a Pasolini, per quanto concerne la pietà creaturale
dell'autore nei confronti dei personaggi minori, ma per il resto era, secondo la
maggior parte dei critici, un romanzo fallito sul piano estetico, per la
commistione tra arte e congetture ideologiche. La sinistra ufficiale si
scandalizzò per l'esaltazione (che faceva pensare alla volontà di potenza del
nazionalsocialismo) della corporalità; fu lamentato l'eccesso di autobiografismo
nel personaggio di Aspri, che ha molte somiglianze con l'autore.
Altri hanno voluto vedere in questi stessi difetti, al contrario, dei pregi,
come se il romanzo anticipasse la condizione postmoderna. Critici americani ne
hanno esaltato la potenza di "autoriflessione".
Giovanni Raboni ha parlato di "realismo visionario" di Volponi, perché in
Corporale "la prosa è quasi più figurale della poesia."(2)
La forma caotica e suggestiva rende questo romanzo un testo che vuole essere
amato e coltivato dai lettori, anche contraddetto... a volte.
Trama
Riportiamo la breve e felice sintesi fatta da Zinato nei Commenti e
apparati del primo volume delle prose volponiane:
"La vicenda si svolge in diverse località italiane tra il 1965 e il 1967.
La parte iniziale è dominata dal monologo del protagonista, l'insegnante ed
ex dirigente industriale Gerolamo Aspri, che si muove irrequieto, tra paure
e attrazioni, dalla spiaggia di Rimini, dove si trova con la moglie e i
figli per le vacanze estive, alle mura di Urbino. La seconda parte narra in
terza persona il ritorno di Aspri a Varese e a Milano, e la sua
partecipazione a una serie funambolica di avventure illegali metropolitane,
fra droga e prostituzione, con il nome del rivoluzionario messicano Joaquín
Murieta. Il progetto trasgressivo di Murieta però fallisce. Aspri viene
richiamato improvvisamente a Varese per l'annegamento del figlio. Nella
terza parte, di nuovo monologante, il protagonista è calato in una più
protetta topografia appenninica e urbinate. Aspri studia le correnti dei
venti, cerca nella mente e nel paesaggio il luogo più favorevole per
costruire il rifugio, battezzato «arcatana», che dovrebbe permettergli la
salvezza dopo la catastrofe nucleare [infatti Aspri ha l'ossessione della
bomba atomica e ritiene imminente una catastrofe planetaria: in realtà la
bomba è simbolo della nuova insopportabile società tecnocratica, a cui il
protagonista cerca di sottrarsi attraverso una interiorizzazione esasperata. L.M.].
Nella quarta parte, inaugurata da una cosmica cascata di meteore e narrata
in terza persona, Aspri, percepita l'inutilità del rifugio, perde
l'equilibrio e si frattura il bacino. Costretto all'immobilità nella
stanzetta dell'ospedale di Urbino, riceve la notizia del saccheggio dell'arcatana,
dialoga con un giovane medico, amoreggia con un'infermiera e infine scompare
lasciando come unica traccia in un quaderno scolastico la nota «Quaderno [per
la verità, nel romanzo l'autore usa il termine spagnolo "Cuaderno":
v. p.
1007] de Joaquín Murieta»."(3)
Riguardo alla ideologia del protagonista, si legga:
"Il protagonista è un intellettuale di sinistra e un dirigente aziendale
espulso dall'industria, insegnante in una scuola privata. Gli elementi
costitutivi della sua ideologia sono la democrazia aziendale di matrice
olivettiana, il marxismo-leninismo della Terza internazionale e quello
critico, con apporti psicoanalitici, della Nuova Sinistra."(4)
Citazioni
Considerata la natura speciale di Corporale, in cui a parti narrative
si associano digressioni didascaliche, è utile soffermarsi su alcuni passi del
romanzo, che per contenuto e forma suggestivi, possono rappresentare - si spera
- una sorta di viatico per chi vuole intraprendere un cammino diverso da quello
imposto dalla cultura di massa, per chi vuole capire e non solo dilettarsi in
una indulgenza verso se stessi, così osteggiata dall'autore urbinate, come
sentimento che fa rimanere immobili e passivi di fronte alle brutture della
nostra società, sino alla conclusione orrida per cui crediamo bello ciò che
invece è brutto, sino cioè alla mutazione negativa del nostro essere.
Dopo le singole citazioni, tra parentesi si indica la pagina corrispondente
al testo così come pubblicato nella edizione Einaudi 2002, Volponi Paolo,
Romanzi e Prose, volume primo.
"Oggi non ho più bisogno di amici, [...] non capita che io non li ami
più, ma che io mi accontenti di voler loro bene: senza alcun bisogno di
loro, sono soddisfatto dall'avere affetto per loro." (p. 443)
"Anche riprendere i battiti del mio amore per la ragazza dagli occhi
viola era difficile [...]. Ma io penso che io mi innamoro sempre di me
stesso: e questo pensiero non è una scoperta o una rivelazione della mia
testa sotto questo sole, perché mi accompagna dall'adolescenza, sempre
netto. E anche adesso mi accorgo che sto entrando, che sono già entrato
un'altra volta nella mia rete. [...] Allora sono coraggioso a sproposito o
timido a sproposito. Ma nella mia rete sempre mi accomodo male, sapendo già
prima che sempre e solo potrò appagare me stesso, il più triste me
medesimo." (pp. 445-6)
"[...] io mi sento una speciale incapacità di fare qualsiasi cosa. Ogni
cosa mi sembra più grossa di me e quella accanto, la prima o la prossima,
del tutto uguale, come se sull'altra non avessi posato gli occhi, scontrato
contro il mio inutile pensiero di agire." (p. 449)
"Le cose che mi piacciono mi catturano e mi dettano il loro giuoco; o
m'impediscono ogni spazio e la possibilità di meditare e di decidere.
Forse perché ho sempre dovuto desiderare, e anche inventare di desiderare."
(p. 450)
"[...] l'invidia, unico elemento [...] unitario della unità italiana,
antropologica, sociologica, culturale e politica [...]. Uno schifoso popolo
di invidiosi. L'invidia istituita, organizzata in enti, casse, fondazioni e
categorie come unico bene e scopo sociale." (p. 471)
"La solitudine di chiunque non cerchi di negare se stesso è da matto."
(p. 473)
"- Chi era Coduri? - domandai.
- Eh! poverello, un bergamasco pure lui.
- Dov'è adesso?
- In paradiso, poverello, con tutto quello che ha sofferto. Pure se si è
ammazzato, poverello, torturato, suicidato. Si è sventrato. [...] Era un
prete bergamasco che avevano sospeso dal dir messa perché si era fatto uomo
per l'amore di una fanciulla." (p. 474)
"[...] contro il mio narcisismo sta la realtà delle cose che ho fatto,
compresi i miei figli e tutta la vita che ho speso fuori di me" (p. 480)
"[L'amico Overath risponde a una lettera di Gerolamo:] Lascio da parte la
tua infelicità, che è sempre parziale come è sempre compensata, per parlare
del progetto ideologico. Credo che tu abbia ragione quando accenni a uno
svolgimento parallelo superiore, ma devi tenere presente che non deve essere
esterno al mondo nel quale vivi, che è l'unico, il solo che ti preme e che
ti interessa: nessun rivoluzionario potrà mai costruire un altro mondo, dico
l'universo di acqua, terra e fuoco. Dunque, cerca di battere su questo,
sulle cose che ti offendono, uomini, gruppi, problemi e anche pensieri. Un
partito da solo, mezzo rivoluzionario e mezzo elettorale, non basta più: se
anche andasse al potere non cambierebbe nulla: al posto della proprietà e
delle sue regole, metterebbe il potere e le sue regole e al posto dei
proprietari con cannocchiali metterebbe dei politici con cannocchiali.
Occorre una grande discussione di tutti, a tutti i livelli, classe e non
classe, per attaccare tutta la base di questa società. [...] Il progetto è
totale e libertario e la rivoluzione che occorre fare è tanto lunga che
occorre cominciarla subito e anche da soli, e in qualunque posto." (p. 493)
"[...] tutti i civili sono malvagi e credono che la malvagità alla quale
attingono sia una seconda persona dentro di loro, quella del demonio. E
quindi credono di dover lottare contro di essa e che per farlo debbono
tirarla fuori, consentirle di esprimersi e poi contrastarla. Credono che la
loro testa e il loro cuore, parte buona, abbiano questo compito. Per loro la
parte cattiva basta vincerla, riuscire a tacitarla. Non ritengono necessario
essere completamente buoni, cioè vincere per sempre, fino ad annullarla, la
parte cattiva. [...] E arrivare a decidere senza ipocrisia. Custodiscono
anzi la parte cattiva come una riserva." (p. 509)
"Predicavo che il giusto era innanzitutto l'esattezza e che l'unico
peccato era l'imprecisione. [...] la precisione, intesa anche come rispetto
del tempo e delle cose, decide fra essere e non essere." (p. 513)
"[Overath dice a Gerolamo:] i piccoli poeti ostentano subito le loro
piaghe e pieghe. Non ti ricordi come il piccolo poeta ignorante tirava fuori
subito la tessera del sindacato per dimostrare che la sua poesia era civile?
Tu qualche volta ti metti a frignare come un piccolo poeta: frigna e
proclama che è tutta l'umanità che piange con lui. Su non fare il piccolo
poeta perseguitato. Non vedere sempre scuro come il piccolo poeta. Il
piccolo poeta è sempre seduto sconfortato sul gradino di un re che non lo
guarda. Appena il re lo guarda si mette a fare sceneggiature per il cinema.
Tu lo sai bene. Tu non sei un piccolo poeta: solo qualche volta ti metti a
farlo." (p. 555)
"[scrive Overath a Gerolamo:] "Rivoluzioni sì sì", dice spesso l'avvocato
[Candido Trasmanati], "ma tenete fuori dio, per piacere, perché dio vuol
dire sempre, anche oggi, lasciare le cose come stanno".
L'avvocato dice anche che la rivoluzione [...] la faranno, che anzi la
stanno facendo la tecnica e la industria. [...] L'avvocato [...] dice
[...] che comunque egli non si riferisce [...] all'industria manifatturiera
ma a quella atomica e a quella astrospaziale, che darebbero una posizione
diversa al mondo." (p. 567)
"[...] la droga non è un problema. Può essere tutt'al più una poesia e
sempre un tantino regressiva. Giovani animali si uccidono per evitare la
cattura [...]." (p. 572)
"Io ho osato calcolare, malgrado il dolore, lo spessore dei miei
sentimenti e cercare di trasmettere me stesso, intero come uno strumento,
nelle mie riflessioni; come ho osato accettare che le cose vere agissero con
altrettanta forza e integrità sopra e dentro di me." (pp. 579-80)
"Debbo chiarire che io non sono mai stato dominato dalla paura; che ho
sopportato e che sopporto ancora due o tre fobie [...] che ho sempre vinto,
non per averle superate o perdute ma per averle vinte nelle conclusioni che
ho potuto raggiungere contro i loro limiti e divieti. A costo di giuocare me
stesso." (p. 594)
"Ho lavorato troppo. Sono stato fregato proprio come il figlio di una
serva dal mio senso del dovere. Credo che sia la fregatura più grossa:
lavorare pensando di salvarsi ideologicamente e intanto come un enzima
instancabile far bene a questo organismo. Adesso proclamo che è giusto
astenersi dal prendere parte, proprio perché ho capito quel che ho fatto e
perché sto facendo quel che ho capito." (pp. 595-6)
"[...] non è solo colui che rifiuta le regole e il branco purché si
batta." (p. 599)
"Tutto è più profondo e ricco di significati quando non si è al sicuro"
(p. 616)
"[Gerolamo dice a Ivana] Tu sei una bella ragazza proprio come categoria
e quindi la tua storia è segnata: chi comanda ti volerà sempre addosso.
Potrai salvarti solo se avrai la fortuna di amare colui che ti amerà di più.
E sono io." (p. 618)
"L'essere liberi è un risultato costante e quindi richiede un continuo
allenamento ed anche una continua concentrazione" (p. 663)
"Guardo e penso a una comunità biologica, stretta, dove tutti partecipano
degli stessi sentimenti e dello stesso cibo. Questa è però una bella idea
del futuro. Chi potrà starci solo, senza impastarsi, dovrà essere forte
razionalmente, non solo o unico sentimentalmente; ma pronto a mutare oltre
che il suo diario e i suoi pensieri anche la sua natura." (p. 736)
"Stare dentro. Perché la libertà di essere fuori? Forse perché altri
possano mieterci e raccoglierci?" (p. 764)
"[...] Urbino. [...] E' una società di mutua ammirazione e indulgenza:
non soccorso perché nessuno soccorre, né accorre, né corre. Immobili i
liberi pensatori nel pensiero di non andare né avanti né indietro.
[...Urbino ha] Ottimi amministratori, onesti, sinceri, coraggiosi,
sufficientemente litigiosi con il prefetto, stretti alla base, consapevoli,
via via insufflati dai locali avvocati, influenzati, soggiogati, da diverse
esigenze culturali, per cui sono finiti, anche spinti dal superconcetto
supersovietico della pianificazione, a pianificare non il pianificabile
bilancio di miseria, di piccole opre, di fogne, di scoli, di latrine, di
camerette d'isolamento, d'insegne, di lumi e paralumi, ma il tutto
ecologico-urbanistico-socio-economico sempre con bel contorno di culturale,
di artistico e paesaggistico: finiti in mano di architetti urbanisti
milanesi specialisti con pipa e farfallino" (pp. 771-2)
"Finalmente sono al punto giusto, in uno strato della realtà dove la
realtà sta spezzandosi, crepando per morire. Per mutare" (p. 774)
"[...] la rivoluzione diviene sinonimo positivo di tutti i valori
fondamentali, cioè di "cultura"." (p. 778)
"[nel luogo del rifugio] io non sono qui per una esigenza d'élite. [...]
Non c'è rifugio fuori per il dolore, [...] il suo unico rifugio è la
coscienza. E la coscienza è assai facile da attaccare, da dentro e da fuori.
Io per me troverò un altro rifugio ancora. [...] A me sono stati rubati e
sottratti con violenza casa, famiglia, porte, tavoli, soldi e anche idee.
Non è qui che li cerco. Sono qui per affermare che essi sono caduchi e che
tutt'altra cosa può salvare un uomo. La vita: cioè che la viva e che abbia
voglia di viverla anche contro tutto ciò che fino ad oggi è stato l'umanità
e dell'umanità." (p. 799)
"ho parlato molto a scuola della stupidità con la quale viene condotta la
maggioranza delle industrie italiane, ho citato il doppiogiuochismo e
l'arrivismo di tutti i Salsamiti [personaggio dirigente aziendale ex collega
di Gerolamo], e ho detto che lavorare nell'industria contro gente del genere
è la più forte lotta, la più giusta che un giovane possa ingaggiare:
lavorare con la coscienza di tale conflitto e con il rischio sempre presente
di essere cacciati o di dover lasciare davanti al trionfo dell'autarchia e
dei nocchieri." (p. 812)
"Debbo prendermi per quello che sono. Non posso essere diverso, né fare
niente di diverso. Se sono sicuro di ciò che so, debbo agire di conseguenza.
E non posso nemmeno simulare di aver fatto tutto per il solo fatto di averlo
pensato e programmato." (pp. 829-30)
"Ecco, - dissi a me stesso - di fronte a tutto come uno spettatore. Come
uno spettatore senza passione: così rispetterò le diverse parti e non
mischierò mai la mia. La mia la reciterò dove so io, atto per atto, al tempo
giusto." (pp. 830-1)
"[Gerolamo pensa tra sé:] la natura è noiosa; il ciclo contadino è così
vecchio, così religioso: morire e risorgere, la più banale ruota della
vita." (p. 850)
"[Gerolamo se la prende con gli elementi del paesaggio:] dovete smetterla
di fare sempre la stessa cosa, sospirare e sospirare quando ormai è polvere
la vostra ragione [...]. La vostra energia, presto vi sarà ridata e allora
cominciate con il rimettervi i calzoni a posto [...]; verso ogni punto
cardinale è tutto un cerimoniale. Cerimoniale ossessivo, con l'intenzione di
non fare e di non avvenire, di sfumare. Prima la precauzione che niente
accada, che caso mai non si ripeta; poi tutti nascosti dietro le tende, in
solitudine o in gruppi corporativi a misurarsi il cazzo o a mandarsi
messaggi da una tenda all'altra, fogli di quaderno o fazzoletti per
descriversi i medesimi organi, misure, forme, colore, aggiungendo peluzzi,
lucore, umore." (p. 859)
"chiedo scusa se ancora sono così presuntuoso e sciocco da pensare
all'avvenire (già l'uso di questa parola denuncia la mia inadeguatezza)
[...] Io non debbo fare altro che aspettare: interrarmi, respirare [...].
Non debbo avere più volontà [...]. La volontà organizzerebbe una difesa e in
tal modo mi ucciderebbe una volta che l'ambiente intorno si modificasse.
[...] l'acido che mi genererà mi renderà superiore, non soltanto all'uomo di
questa società della bomba ma alla bomba stessa e a tutti i suoi aspetti,
fino a quando questi, mutati, non saranno i miei nuovi fratelli" (p. 890-1)
"Debbo andare a cercare un altro posto. Almeno ho imparato che non debbo
pensare più di diventare felice per sempre. [...] Anche le mie azioni finora
sono cadute sempre dentro di me. Ma quando sarò fuori non sarà più così" (p.
992)
"la più importante delle qualità per una donna, quella di mandare avanti
bene e con rispetto una casa." (p. 993)
"[dialogo tra il giovane medico milanese e Gerolamo] - Ho saputo tutto.
Posso dirle che l'eccessiva interiorizzazione finisce per deformare e
bloccare qualsiasi rapporto autentico con l'esterno, uomini e società; per
stabilire quindi una indifferenza che diventa una perfetta acquiescenza
politico-sociale.
- Ih, ih, ih, - rise Gerolamo. - Come è semplice la tragedia con una fresca
laurea in medicina! ih, ih, - continuò a simulare di ridere per dare un
qualche credito alla sua risposta.
- Perché si possa parlare di tragedia occorreranno tre o quattro generazioni
come la mia. Oggi c'è solo inettitudine; anche il potere è così diviso da
diventare personale, del tutto inutile. Non ci sarà nessuna fine del mondo.
Non c'è più il teatro sufficiente e nemmeno gli attori. Non c'è la
grandiosità necessaria, nemmeno in termini religiosi.
Gerolamo non rispose e domandò al medico dei calmanti." (p. 1005)
(1) v. Volponi Paolo, Romanzi e Prose,
volume primo, Einaudi, Torino, 2002, p. 1132. (torna su)
(2) per tutti gli approfondimenti critici,
curati da Zinato, ivi,
p. 1159 ss. (su Raboni, v. p. 1166); nelle note ci sono i riferimenti alle
fonti critiche citate. (torna su)
(3) ivi, p. 1150. (torna su)
(4) Zinato Emanuele, Volponi, Palumbo,
Palermo, 2001, p. 41. (torna su)
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