La nausea
ovvero l'accecante evidenza
della gratuità delle cose
di
Fabia Zanasi
Albrecht Dürer, Melancolia (1514)
L'incisione esibisce le simbologie della Grande Opera. Compaiono gli strumenti dell'alchimista: quadrato magico, compasso, poliedro, sfera, bilancia e clessidra. L'arcobaleno sintetizza lo spettro dei colori destinati ad apparire nel crogiolo, dove il metallo deve essere fuso, per subire l'opera di purificazione, sino a trasformarsi in materia purissima. |
|
|
In
una intervista rilasciata nel 1964, Jean Paul Sartre affermò che un
romanzo come La nausea non conta nulla, se nel mondo esistono
bambini che muoiono di fame. Tale affermazione non possedeva alcunché
di retorico ed è sicuramente più comprensibile a distanza di tempo, in
particolare alla luce delle memorie di Simone De Beauvoir dedicate al
filosofo e compagno di vita. Quasi nell'esordio dell'opera Cerimonia
degli addii, Simone rende infatti nota l'intransigenza di Sartre che
per tutta l'esistenza non smise mai di porsi in discussione e di
"pensare contro se stesso".
La
prima stesura risale al 1931, quando nelle intenzioni di Sartre La
nausea si configurava come un romanzo "sulla contingenza
umana", un fenomeno che egli riteneva trascurato, a vantaggio
invece di speculazioni orientate a cogliere gli aspetti necessari del
reale. Seguì una revisione nel 1934, una successiva riscrittura nel
1936 e infine la versione definitiva nel 1938.
Il
testo era originariamente intitolato Melancholia, per una
intenzionale dedica all'omonima stampa di Albrecht Dürer, nella
quale l'incisore tedesco rappresentò la percezione degli
insanabili conflitti del cosmo con le sembianze di una figura
alata, simbolo della pensosità umana.
Ma
il titolo iniziale è decaduto per evidenti ragioni: la rinascimentale
ricomposizione delle tensioni esistenziali mediante l'attività
razionale è vanificata dall'ineluttabile consapevolezza del dolore che
la vita comporta. In un certo senso la sensibilità di Sartre è affine
a quella dei filosofi Orfici di età presocratica, proprio per il senso
di pena e tristezza che essi attribuivano alla condizione degli uomini
sulla terra.
La
nausea
scopre "l'inferno del quotidiano", le cui categorie non sono
il nulla e il vuoto, bensì la nullità e la vacuità di ciò che "è
di troppo". "La Nausea non è in me: io la sento laggiù sul
muro, sulle bretelle, dappertutto attorno a me. Fa tutt'uno col caffè,
son io che sono in essa". Le considerazioni filosofiche dell'io
narrante, il protagonista Antoine Roquentin, trovano espressione
linguistica nella modalità discorsiva del flusso di coscienza.
Temi
narrativi e riflessivi si susseguono pertanto secondo una successione
arbitraria, che simula i ritmi delle libere associazioni mentali,
motivati nell'incipit grazie all'espediente del manoscritto
ritrovato e pubblicato dagli editori: il diario di Antoine Roquentin,
appunto.
Il protagonista è uno scrittore che compie ricerche storico
biografiche relative al marchese di Rollebon, un libertino vissuto nel
'700. Il gioco letterario delle note integrative apposte al manoscritto
si interrompe dopo pochissime pagine: la rinuncia nei confronti del
punto di vista del narratore esterno è una modalità esperita da Sartre
per sottolineare l'inutilità del commento, perché "gli
avvenimenti si verificano in un senso e noi li raccontiamo in senso
inverso".
Peraltro
altrettanto vane sono anche le ricerche stesse di Roquentin alle prese
con le vicende erotiche del marchese: "Ho perduto un mese a
esaminare i suoi atti e le sue gesta. E in fin dei conti aveva
ingravidato la figlia d'un suo fittavolo. Non è forse un semplice
istrione?" In questa osservazione è possibile ravvisare una presa
di posizione da parte di Sartre nei confronti di un certo modello
storiografico che rinuncia al dialogo interpretativo con i documenti,
per scrivere racconti.
Tuttavia una metodologia che si argina nel piano
narrativo perde del tutto i propri fondamenti epistemici. E questo è un
nodo cruciale del dibattito relativo alla legittimità e utilità del
mestiere di storico, che attraversa la cultura del '900. La tentazione
è forte e non solo per lo storico, perché ciascun uomo vive le
esperienze proprie e altrui attraverso l'arte del racconto. La
problematica si allarga allora sul piano esistenziale e suggerisce al
lettore stesso di chiarire una scelta di metodo individuale: o vivere o
narrarsi.
La
nausea impegna
a sua volta in un altro tipo di ricerca, quella delle fonti di
riferimento che stanno alla base del testo. Caduti i collegamenti che
per via intuitiva parevano più probabili, come Kafka, autore non ancora
noto a Sartre al tempo del romanzo, i richiami più probanti chiamano in
causa i filosofi: Heidegger e Husserl. L'esistenza anonima e banale che
non possiede il coraggio dell'angoscia innanzi alla morte, così come
Heidegger la descrive, ha infatti inequivocabili e profonde affinità
con la Nausea.
Penalizzate
da un eccesso di visualizzazione i dettagli delle cose assumono una
rilevanza fastidiosa per l'occhio di Roquentin. Improvvisamente
l'identificazione dell'oggetto mediante il nome fa balenare l'idea che
anche l'esercizio del nominare sia del tutto inconsistente. L'esorcismo
della parola decade, perciò la parola sedile rifiuta di andarsi a
posare sulla cosa, sul sedile appunto che appare piuttosto simile ad un
ventre, con tutte le sue zampe morte. Ma nello stesso momento in cui il
protagonista smarrisce la consapevolezza della parola, quale potere di
far corrispondere segni e significati, la realtà assume "forma di
un vuoto". Questo è il processo mediante il quale l'esistenza
corrode l'essere.
Il
meccanismo del ricordo è altrettanto pericoloso: il pensiero di Anny,
l'ex fidanzata, è una fuga dal presente, un ulteriore inganno di
Roquentin che preferisce raccontarsi la vita, anziché avere il coraggio
di viverla.
"Tutto
è gratuito, questo giardino, questa città, io stesso. E quando vi
capita di rendervene conto, vi si rivolta lo stomaco e tutto si mette a
fluttuare... ecco la Nausea".
Attualmente,
a distanza di oltre sessant'anni, il romanzo assume una connotazione
davvero singolare: Sartre ha preconizzato in chiave psicologica
un'angoscia di vivere che nel nuovo millennio sta esplodendo in
eclatanti patologie manifestate attraverso i malesseri del soma. E
dunque non si può sperperare l'esistenza senza un progetto: è il
messaggio finale di Roquentin. L'importante è attraversare il testo alla ricerca di questa consapevolezza, ben determinati a voler vivere,
piuttosto che a raccontarsi.
|