parole
Sue mie
sono parole e
si avvicinano
nell’aria
Tesa
Si incontrano
studiandosi ostili
dietro un sorriso forzato
maschera di un’odiosa
ipocrisia
Si danno la mano si
abbracciano ma non
riescono
Possono
solo salvare
le apparenze
continuare un
inganno
alimentato da
equivoci
Fuggono dandosi
le spalle e
nervoso è lo
scatto nella negazione
di un futuro
Sue mie
sono parole
nate da troppi
grigi perché
Mai una volta
una sola volta
sono riuscite a
parlarsi
uomo senza meta
Come un viaggiatore
che prima
della partenza
si riempie
gli occhi
di nuvole e
voli di uccelli
di vento e pioggia
sulla terra
d’autunno
io ti guardo
donna
sfiorata da
mani di parole
prive
di pudore
che giacciono
calde su lembi
di carta e
narrano luci
su corpi
d’amore
Io mi distendo
donna
nel bosco del
tuo sentire
prima di un
altro sole
e ti dipingo
di memoria e
desiderio
ammutolito
Per poi alzarmi
e svanire
vuoto di valige
Perché sono tatto
sangue emozioni
perché non posso
restare adagiato
sul velo incerto
del tuo mondo
come dedica
sottile
in un fremito
di frasi
che nulla
sanno dire
del gusto
di un tuo bacio
in Era Volgare
Era infine solo una
bara
la tua
vestita a festa e
piena di luce
quando l’abbiamo
accolta
E portava solo una
lapide
china su
remissione
peccato
senso di colpa
e redenzione
Hai chiamato
vita ciò che
è morte
hai inciso
paura
ed indulgenza
su sensi e
desideri
Ma io non ho
sentito
il battito del
vento
nella tua
confusa storia
o il cantico del
tuono
nei tuoi
boriosi messaggeri
Loro sono rimasti
lì in immobile
contemplazione
Io ho camminato
oltre
la tua fetida
religione
preghiera
Raccontatemi
una fiaba
con capo
di morte
una fiaba
mascherata
da redenzione
Raccontatemi di
una vita
oltre il viaggio
sofferto
in questo mondo
feroce
E guardatemi
Guardatemi
mentre
tremo di
angoscia
e vi prego
Ho il capo
chino
su simboli
antichi
che avete
rapito e
colorato
di nuovo
Rinuncio
alla vita
appagata
di nulla
per il vostro
sogno narrante
di credo
assoluto
E contro il
soffio fetale
di diversi pensieri
mi chiuderò
con voi
nei dettami
di ministri
corrotti e
fasulli
di tremore
e potere
Raccontatemi
la fiaba
del buon pastore
che macella
il gregge
oltre la carne
Vi prego
Ho paura di questo
nulla
quando il mio
mondo
non sarà
più qui
Ho terrore
di questa
sofferenza
bastarda di
uomini e cose
Vi prego
Per questo
mi vendo
dal battesimo
all’unzione
estrema
per una fiaba
plagiata di
splendente
resurrezione cosmogonia
Siamo esplosione
Big Bang del
nostro divenire
Siamo rapida
espansione
di calda materia
tra spazi vuoti e
gelide attese
Corpi e sensi
vorticanti
su ellissi di
desiderio
Plasmiamo
nuovi universi
in nebulose di danza
tra galassie ed
emozioni
E roteiamo
roteiamo veloci
sui nuclei
delle nostre vite
Ora insieme
innescati
in fusioni nucleari
di sguardi mani
e labbra
in fragori di
energia sconosciuta
Ascoltiamoci
con occhi coraggiosi di
Bruno Copernico
Galilei e Keplero
E viviamoci
con orgasmi di
idrogeno ed elio
e canti di
nucleosintesi stellare
Nello splendore
evolutivo
del nostro
nuovo cosmo
Deus in iudicium in voto (racconto tra il saggio e la teatralità)
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Occhi di lucertola
Lucertola,
di sole lucente,
nei tuoi occhi filtra
il mio ritratto.
Precipita la luce
nelle iridi tue schiuse.
Fessure che sibilano
in promessa
il nero della mia Morte
immensa.
Autunno
Il vento, lacerato
da danza di girandola,
sibila al mio orecchio un
inutile lamento
e solleva foglie, effimeri tamponi
sulle ferite d’autunno.
La girandola è vortice forte
che non si ferma,
gioia e delizia dei bambini.
urla nel tempo (di un cristo morente)
Pellicola di marmo
appesantita
dove hanno
proclamato
una tua foto
superata
dal tempo
Qui ora esausto
giungo silente
e ascolto cupo
gorgoglio di liquidi
densi e voraci
a mutare di tempesta
il tuo corpo
Io devo
Occhi mi scrivono
addosso leggende
di secoli immoti
Parole mi rapiscono
dentro pensieri di
essenza divina
Attendono il tuo
ritorno sul mio
respiro e allora
io devo
Ti chiedo perdono
non vorrei
ma devo
E' il Credo
che mi veste
Lazzaro
la vetta del Verbo
Io devo
E allora urlo sulla
tempesta tua
di putredine
densa
che muta
apparenze di carne
e desiderio
Con mani protese
al cielo lento
e distante
io devo urlare
e ancora nel tempo
ripetuto
dal Credo
io urlo
Torna Lazzaro
sul nostro inganno
di vita e di fede
Torna Lazzaro
per il divino
assoluto
Occhi respiri
desideri in ascolto
Parole che
mormorano
attese di osanna
incise sul Libro
Verità
invalicabile
che morde
la mente
Ma io urlo
sopra
il mio pianto
che non ha
testimonianza
Ho già capito
Lazzaro
ora non torni
mai tornerai
E' solo una foto
la tua rinascita
narrata
E' solo immagine
cbe veste il canto
vorace dei vermi
E' solo apparenza
che rimane
e che io
assoluto
proclamo
Cavallette sul selciato (*)
Le luci che
navigano
nel tuo
bicchiere
sono acque
di una palude
pesante
affannata
di piaceri caduti
limacciosa
di sensi di colpa
Lascialo cadere
ora
e poi
ascoltalo
quel bicchiere
È rabbia
di anni che
scheggia
il pavimento
Gemito
di liquido perso
da lontane
ferite
È tela
lacerata
che beve
il tuo pensiero
Prognosi di nulla
sul rigor
di un desiderio
canuto
Io sono
il tuo medico
anche stasera
Non ho farmaci
che guariscano
il tempo
nemmeno ne conosco
Ma ho un saluto
da darti
l’addio
che mi chiedi
Lascialo cadere
ora
quel bicchiere
con le sue luci
pesanti
di alcol
spegni il suo
pianto
questa sera
Chiudi la porta
sulla palude
del suo liquido
pastoso
E usciamo
Usciamo dove
la vita è
terapia di
brevi baci
segreti
Dove in luci
nascenti di alba
tra farmaci di
ultimo sonno
tu possa
vivere ancora
solo
un minuto
prima del gelo
pieno di te
Le cavallette piangono sul selciato.
Il dottor Santino si sorprende sempre in questa illusione estiva quando
percorre con passo incerto il sentiero che dalla strada provinciale porta
all’ingresso del cimitero. Nei brevi tratti rettilinei in salita, nelle
curve ampie di serpente assonnato, ascolta il lento cri-cri della ghiaia
sotto i passi, che alle sue orecchie diventa il lamento di cavallette
nascoste intorno alla meta.
Anche in questa giornata di livido inverno.
* tratto da: “Storie da Città di Solitudine e dal Km 76” di Giovanni
Sicuranza. |