FRANCESCO PETRARCA (1304-1374)

FRANCESCO PETRARCA (1304-1374)


Nasce ad Arezzo nel 1304, dove il padre, notaio fiorentino di parte bianca, si trovava in esilio. A otto anni si trasferisce con la famiglia ad Avignone (Provenza), dopo che il padre era stato chiamato a svolgere la sua professione presso la curia (nel 1305 era diventata sede papale). Per volontà paterna inizia gli studi giuridici (Montpellier e Bologna), ma al diritto preferisce letteratura e poesia.

Nel 1326, mortogli il padre, torna ad Avignone, libero di disporre della propria vita: il padre gli aveva lasciato un modesto patrimonio. Finito il quale egli deciderà di prendere gli ordini ecclesiastici minori, aspirando a varie cariche e benefici (rendita di proprietà della chiesa), al fine di assicurarsi quella indipendenza economica che gli consentisse di dedicarsi agli studi. Fino al 1343 resterà ad Avignone, prestando servizio presso la curia. Il suo interesse culturale principale sono i classici latini (Cicerone, Livio, Virgilio), i padri della chiesa (Agostino) e i poeti in volgare (rimatori provenzali, lirici stilnovisti).

Nel 1327 incontra Laura de Sade, che avrebbe voluto amare e che ricorderà e rimpiangerà per tutta la vita. Laura era già sposata e non corrispose mai all'amore del Petrarca.

A partire dal 1333, sospinto dall'ansia di nuove conoscenze umane e culturali, compie molti viaggi a Parigi, nelle Fiandre, in Germania, a Roma. A Liegi ritrova due orazioni di Cicerone, dando inizio alle scoperte umanistiche dei testi classici e dei codici antichi.

Dal 1337 al 1353 si ritira in solitudine a Valchiusa (presso Avignone), dedicandosi alla meditazione e all'attività letteraria. Nel 1340 riceve dal Senato di Roma l'incoronazione poetica per la sua elevata cultura e per le sue eleganti opere latine. Ritornato ad Avignone, resta profondamente colpito nel vedere il fratello entrare nei Certosini: anch'egli avvertiva il bisogno di vivere una esperienza spirituale più intensa, ma si sentiva incapace di compiere un passo così impegnativo.

Nel 1347 decide di recarsi a Roma per manifestare la propria ammirazione a Cola di Rienzo, proclamato tribuno del popolo, in procinto di realizzare un regime di libertà democratica. Petrarca sognava la restaurazione di una repubblica romana di grandezza pari all'antica. Egli tuttavia, saputo che la rivoluzione si stava mettendo male, preferì fermarsi a Parma. Qui ricevette la notizia che Laura era morta di peste (il 1348 fu l'anno della terribile peste in tutta Europa).

Nel 1350 stringe amicizia (coltivandola in seguito) col Boccaccio a Firenze. Nel 1353 abbandonava definitivamente la Provenza per l'Italia (otto anni a Milano presso i ghibellini Visconti, poi Padova, Venezia...fino ad Arquà, dove muore nel 1374).

IDEOLOGIA E POETICA

Petrarca non fu legato a una corte o città particolare (superamento della mentalità municipale, della partigianeria politica). Nato in esilio, vissuto all'estero (Avignone), ospitato presso signori e città diverse (per la sua chiara fama), senza mettere radici da nessuna parte, libero da preoccupazioni economiche. Fa politica senza lasciarsi coinvolgere personalmente negli avvenimenti (anche se lo è emotivamente): compone canzoni con cui ammonisce città e signori, fa da paciere in una guerra tra Genova e Venezia, scrive lettere di esortazione e consiglio a papi, imperatori, a Cola di Rienzo, ai dogi veneziani...

Per i suoi contemporanei era conosciuto come il grande erudito, capace di coordinare una vasta rete di letterati e scrittori italiani e stranieri. Le sue lettere (veri e propri saggi critici) venivano copiate e studiate. Prima di essere incoronato in Campidoglio (soprattutto per il poema Africa), chiese d'essere esaminato con pubblica solennità dal re di Napoli, Roberto d'Angiò.

Tuttavia il Petrarca non ebbe mai alcuna intenzione di rivolgersi al pubblico non intellettuale. Lo dimostra il fatto che le uniche due opere in volgare che scrisse furono il Canzoniere e i Trionfi. Tutte le altre (poema Africa, lettere, compilazioni dottrinali, trattati polemici, operette religiose e psicologiche) furono scritte in latino, e solo per queste opere egli era diventato famoso. A differenza degli scrittori del '200, legati all'esperienza comunale, e quindi alle esigenze dei nuovi ceti borghesi di conoscere e di educarsi usando il volgare, il Petrarca vuole parlare a una casta internazionale di intellettuali, politici, funzionari, cioè alla forza dirigente dell'Impero, della Curia avignonese, delle Signorie nascenti.

Petrarca visse in un periodo in cui al declino delle vecchie istituzioni (Chiesa e Impero) si andava aggiungendo la crisi della prima società borghese: il Comune, che stava per essere sostituita dalle Signorie, in cui il potere era detenuto da singole famiglie (o da oligarchie). Il Petrarca accetta la fine dell'istituzione comunale e lo sviluppo delle Signorie, ma in questo senso: egli vorrebbe che le Signorie, liberatesi dall'ingerenza dell'Impero e della Chiesa, si alleassero tra loro per restaurare la Repubblica della Roma antica, vista non come "culla" dell'Impero e della Chiesa, ma in sé e per sé, cioè come civiltà ricca di virtù, di eroismo, di forza morale (una civiltà alternativa a quella medievale). Il Petrarca, ammirando il mondo classico per quello che era, anticipava un atteggiamento tipico dell'Umanesimo.

Altri aspetti del suo pensiero politico: considerava l'istituzione dell'Impero adatta al mondo germanico, ritenuto primitivo e barbarico, ma non all'Italia. Nella canzone Italia mia esorta i principi e signori italiani a cacciare dal loro suolo le milizie mercenarie germaniche. Auspicava inoltre il ritorno della chiesa alla primitiva purezza evangelica (di qui la condanna del potere temporale dei papi e della corruzione avignonese. Egli era anche favorevole al ritorno della sede pontificia a Roma).

Forte è nel Petrarca l'insoddisfazione artistica, ovvero la tendenza alla perfezione. Avendo un animo sensibile e inquieto, rivede di continuo le sue opere, a volte per tutta la vita. Molte di esse non sono neppure compiute.

Questa insoddisfazione la si ritrova, a livello psicologico, nella sua opera autobiografica più significativa: Secretum. Nel 1336, salendo sul Monte Ventoso in Provenza, ebbe una specie di crisi mistica: comprese che l'amore per le cose terrene (Laura) e l'ambizione artistica (desiderio di gloria) lo allontanavano dalle cose essenziali, profonde, religiose. Nel libro Secretum egli s'immagina di parlare con s. Agostino, ammettendo la propria colpa: l'accidia (cioè lo scarso entusiasmo nella ricerca del bene), ma riconosce anche di non avere la forza per cambiare vita (come appunto s. Agostino o il fratello Gherardo, fattosi monaco).

Laura quindi viene considerata come un oggetto di tentazione, che attrae (a partire dal 1327) e che respinge (a partire dal 1336). Tuttavia, dopo il Secretum, Petrarca fa voto di castità e passa a trattare argomenti di carattere religioso, benché fino alla morte l'ascetismo non riuscirà mai a prevalere sull'ambizione.

OPERE LETTERARIE

Il Canzoniere. Consiste di 366 liriche (sonetti, canzoni...) che vanno dal 1330 circa fino alla morte del poeta. Sono poste in un ordine sia tematica che cronologico, non del tutto chiaro. Sono scritte in volgare. Lo stile è chiaro, essenziale, apparentemente semplice (il lessico è volutamente ricercato ma preciso, con esclusione dei termini troppo realistici). La forma è colta, aristocratica, melodiosa, musicale, rigorosamente uniforme: per secoli sarà il modello della lirica italiana. Petrarca si servì, fondendoli in maniera assolutamente originale, dei poeti provenzali in lingua d'OC, degli stilnovisti, dei poeti latini. Il poema è diviso in due sezioni: rime in vita e il morte di Laura. L'amore per Laura è infatti il tema dominante della raccolta, anche se l'unico vero personaggio è lo stesso Petrarca, col suo lungo soliloquio intorno a una passione esclusiva.

Motivi poetici: l'amore per Laura è idealizzato ma umano, caratterizzato da tormenti passionali, dolore per la morte di lei, malinconia del ricordo, contrasto tra amore e coscienza religiosa... Laura è una figura totalmente trasfigurata dalla sua fantasia artistica: simulacri, feticci, simbologie e nostalgie sostituiscono l'oggetto del desiderio. Laura viene considerata dal poeta come occasione per riflettere su di sé, soprattutto sul contrasto tra intelletto (che vede quel che si dovrebbe fare) e volontà (che non può o non vuol fare quello che l'intelletto vede). Petrarca infatti è combattuto fra il desiderio di una vita mistico-spirituale (qui sta la sua coscienza religiosa) e l'attaccamento alle cose terrene: l'amore per Laura, e la gloria artistica (qui sta la sua coscienza laica). Il suo dramma interiore consiste appunto nel fatto che non riesce a decidersi in maniera coerente né per un aspetto né per l'altro. Alla fine di questo "diario malinconico", il poeta -già avanti negli anni- pensa che se Laura fosse vissuta ancora, l'amore non corrisposto si sarebbe trasformato (vinta la passione dei sensi) in una tenera amicizia reciproca.

Poesie d'ispirazione religiosa: dedicate soprattutto alla Vergine (vedi soprattutto la conclusione).

Poesie di contenuto politico: due canzoni in particolare: Spirto gentil..., con cui auspica la restaurazione dell'antica grandezza di Roma: e Italia mia..., con cui esorta i principi italiani a bandire dal loro suolo le milizie mercenarie germaniche.

Poesie anticlericali: contro la corruzione della curia di Avignone.

Poesie ispirate al sentimento dell'amicizia: vedi ad es. i sonetti dedicati al card. Giovanni Colonna.

I Trionfi. Pometto didattico-allegorico, anch'esso scritto in volgare, col metro della terzina, costituito da una serie di visioni, in analogia (a livello strutturale) alla Divina Commedia. Iniziato forse nel 1352, mai veramente finito. Diviso in 6 Trionfi che descrivono la storia simbolica delle vita umana:

nel Trionfo d'Amore il poeta sogna la figura del dio Amore su un carro di fuoco, seguito da una numerosa schiera di illustri vittime dell'amore passionale (Cesare, Enea, Achille, Dante, Virgilio...). Ad un certo punto appare al poeta Laura, che suscita nel suo animo un vivo sentimento d'amore, per cui anch'egli si unisce alla schiera che col carro giunge all'isola di Cipro, dove Amore celebra il suo Trionfo e l'uomo è sconfitto;

nel Trionfo della Pudicizia il poeta rappresenta le virtù di Laura che si oppongono vittoriosamente alla forza di Amore. Laura, insieme a Lucrezia, Penelope, Didone..., libera i prigionieri portandoli nel tempio della Pudicizia a Roma;

nel Trionfo della Morte il poeta rievoca la morte di Laura e il fatto ch'essa gli apparve in sogno, subito dopo la morte, per dirgli che l'aveva sempre amato ma che non aveva potuto manifestarlo per difendere la propria onestà e la salvezza di entrambi;

nel Trionfo della Fama il poeta elenca una lunga serie di personaggi famosi per le loro azioni valorose o per le loro opere di pensiero e poesia;

nel Trionfo del Tempo il poeta medita sulla fugacità del tempo e sulla vanità delle cose umane;

nel Trionfo dell'Eternità il poeta canta la sua fede in Dio e la sua aspirazione al valore eterno delle cose.

L'opera è artisticamente disorganica, priva di una forte ispirazione poetica. Le liriche migliori sono quelle dedicate a Laura.

Alcune opere in latino. In queste opere per la prima volta il Petrarca delinea un modo nuovo di concepire i rapporti tra civiltà greco-latina e cristiana. La prima non viene più vista in antitesi alla seconda o come semplice preparazione. La salvezza per il Petrarca viene sempre dalla fede, ma i filosofi e scrittori antichi, pur non avendo la fede, hanno dimostrato -secondo lui- un'altissima sapienza che va valorizzata in quanto tale, non in diretto rapporto alla sapienza cristiana. Anzi la sapienza del mondo antico può aiutare anche il cristiano ad approfondire la sua fede. In questo il Petrarca anticipa l'Umanesimo e il Rinascimento. Scrive in un latino più vicino a quello classico che a quello medievale.

La maggiore delle opere latine è Africa, anche se la più significativa per comprendere la personalità del poeta è Secretum. Africa è un poema epico, mai portato a definitivo compimento. Narra la fine della seconda guerra punica, cioè le eroiche imprese di Scipione l'Africano contro Annibale. È priva di vera ispirazione poetica, anche perché il poeta, essendo soprattutto un lirico, difettava di sentimento epico.

Nell'opera Sull'ignoranza sua e di molti, egli difende l'atteggiamento di chi ripone la cultura non nell'analisi psicologica di sé, ma nella conoscenza della natura (di qui le sue simpatie per le Confessioni di Agostino).

Da notare che il Petrarca fu considerato il modello inimitabile della poesia d'amore fino a Leopardi (ma alcuni critici ritengono sino al Montale).

Il Petrarca e le ragioni di vita

Il Petrarca è la testimonianza lampante di due cose:

  • che in una società borghese la vita individualistica, slegata dalle vicende delle masse popolari, anche se non ricerca il profitto economico, non riesce a liberarsi dall'ambizione di primeggiare in qualcosa (nel suo caso si trattava della gloria letteraria, artistica),
  • che la religione è impotente a risolvere il contrasto psicologico determinato dalla consapevolezza di vivere una vita non conforme alle esigenze di giustizia e di libertà del tempo.

Il Petrarca cioè ha cercato, vanamente, nella religione (seppur non in maniera totalizzante) la risposta sia all'insoddisfazione che crea una vita individualistica da intellettuale borghese (benestante), sia all'esigenza di perfezione morale, di giustizia e di pace ch'egli avvertiva con una certa intensità e sensibilità (forse un po' astratta ma sicuramente sincera, onesta). Quando il fratello entrò nei Certosini, ne rimase profondamente colpito, avvertendo anch'egli il desiderio di vivere un'esperienza spirituale più intensa, ma non se la sentì di compiere un passo così impegnativo.

Tuttavia, se il Petrarca non ha avuto la decisione di un Agostino d'Ippona o di un Francesco d'Assisi nell'affrontare il suo problema esistenziale, ciò non gli va attribuito come un limite o un demerito, ma semmai come un pregio, una qualità umana, poiché in tal modo egli ha evitato o di cadere in una qualche forma di alienazione (Francesco) o di farsi responsabile dell'intolleranza nei confronti di altre religioni e ideologie (Agostino).

Tuttavia, la storia della sua vita impone una riflessione che è ancora di attualità, relativa alla "grandezza" o all'importanza di un intellettuale per la società del suo tempo. Che cosa rende "grande" un intellettuale? Il talento artistico o il contatto col pubblico? La ricerca filosofica della verità o l'impegno politico per la giustizia? L'interesse scientifico o l'amore per la cultura? Ovviamente l'ideale sta nel cercare un equilibrio fra tutte queste cose. Però un primato esiste, ed è quello di avere sempre a cuore le necessità degli "ultimi", quello cioè di non scordarsi mai che le sofferenze degli oppressi, dei marginali, sono sempre un motivo sufficiente per ripensare la credibilità e il valore di tutti i nostri ideali. Solo in virtù di questa attenzione, il talento acquista concretezza, la giustizia e la verità non sono un vuoto parlare, la politica è davvero rivoluzionaria e la cultura diventa accessibile a tutti.

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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Letteratura
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Aggiornamento: 10-02-2019