IL CAFFE' (1764-1766)
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La fine del dominio spagnolo segnò la vigorosa ripresa del Ducato di Milano, passato verso la metà del '700 sotto gli austriaci dell'imperatrice Maria Teresa. Un folto gruppo di scrittori, giuristi ed economisti, diede vita a una vivace battaglia contro i pregiudizi e le istituzioni del passato su una rivista chiamata Il Caffè, ossia brevi e vari discorsi distribuiti in fogli periodici. Il giornale era di Milano, ma uscirà a Brescia (allora sotto la Repubblica di Venezia) dal giugno 1764 al maggio 1766, per iniziativa di Pietro Verri in stretta collaborazione col suo stesso gruppo della "Società dei Pugni": Alessandro Verri, Cesare Beccaria, Pietro Secchi, Paolo Frisi, Giuseppe Visconti, Sebastiano Franci…: tutti appartenenti socialmente al ceto aristocratico, ma di idee fondamentalmente borghesi. In tutto uscirono 74 numeri, uno ogni 10 giorni. Il nome sarebbe derivato da una bottega di caffè aperta a Milano da un greco. Gli articoli erano quasi sempre firmati con sigle. La redazione rinunciò esplicitamente alla purezza della lingua e al vocabolario della Crusca, in quanto si preferiva il periodare francese, più agile e più immediato. La rivista suscitò subito aspre polemiche (si veda la posizione contraria di Giuseppe Baretti). Il periodico non ebbe un seguito, né fu ripreso come idea da altri, anche se fu un avvenimento pubblicistico assolutamente originale, sia per la novità di linguaggio e di intenti, che per la serietà e l'organicità dell'impegno, senza nulla concedere alle formule giornalistiche allora in auge (vedi Baretti e Gozzi). La funzione del giornale veniva per la prima volta a coincidere con quella dello "scrittore novatore", che deve interessarsi di riforma della produzione, del commercio, della legislazione, della lingua…, senza accettare l'autorità di nessuno, ma confidando anzitutto nella ragione e nella esperienza pratica. Per questi motivi il periodico diventò un classico dell'illuminismo italiano, anche se la fama degli scritti del Verri e del Beccaria hanno nuociuto alla sua fortuna. Il Caffè venne ristampato integralmente nel 1804. Ciò che contraddistingue Il Caffè da tutte le riviste coeve (e precedenti) sono tre cose:
La redazione aveva di mira due cose:
L'articolo di G. Carli, Sulla patria degli Italiani, può essere considerato il "manifesto" del prossimo Risorgimento italiano: per la prima volta, infatti si esprimeva la teoria che nessun italiano doveva sentirsi straniero in Italia, qualunque fosse la sua regione. I redattori del periodico, chiedendo l'abbattimento delle barriere doganali interne, l'adozione di un'unica legislazione e di sistemi unificati di pesi e misure, in sostanza auspicavano la fine della frantumazione politica della penisola. Cosa che seconda la redazione sarebbe dovuta avvenire attraverso la politica illuminata dei sovrani. La redazione si sciolse a causa delle inimicizie sorte tra i fratelli Verri e il Beccaria in occasione della pubblicazione del libro Dei delitti e delle pene, cioè sostanzialmente per rivalità personali. All'attività di pensiero e di azione degli autori del Caffè e di altri studi innovativi in materia soprattutto giuridico-economica, corrisposero le riforme di tipo capitalistico introdotte nel Ducato dal governo illuminato di Maria Teresa e Giuseppe II, che investirono ogni campo:
Le idee o le modalità d'intervento del Caffè verranno riprese molto tempo, da giornali e riviste come Il Politecnico di Cattaneo, L'Unità di Salvemini, Tempo Presente di Silone e Nicola Chiaromonte, l'inserto Fine Secolo di Reporter di Enrico Deaglio. (cfr. AA.VV., Il Caffè 1764-1766, ed. Bollati-Boringhieri 1994). |