ECONOMIA E SOCIETA'
idee per il socialismo democratico


ADAM SMITH E LA DEFINIZIONE DEL CAPITALISMO

Adriano Torricelli

Adam Smith non utilizzò mai nei suoi scritti il termine “capitalismo” (termine di origine marxiana e quindi a lui molto posteriore), ma aveva comunque ben compreso i meccanismi alla base del funzionamento dell’economia della crescita costante, basata sui pilastri del mercato e dello sviluppo tecnico: un tipo di organizzazione economica che si realizza in modo particolarmente radicale nelle odierne società capitaliste, ma che ha svolto un ruolo decisivo anche in molti altri contesti storici.

Autoconsumo e produzione specialistica: Nella sua (a dire il vero primitiva) visione storica, Smith affermava l’esistenza di due tipi di organizzazione economica contrapposti e fondamentalmente successivi: quello basato sulla produzione per il consumo diretto (nel quale ognuno produce per consumare ciò che ha prodotto: autoconsumo) e quello basato sulla specializzazione del lavoro e, per logica conseguenza, sulla vendita o scambio attraverso il mercato dei prodotti del lavoro specialistico.

Secondo Adam Smith difatti, inizialmente ogni uomo produceva tutto ciò di cui aveva bisogno da solo, egli creava cioè sia i propri beni di consumo sia quelli strumentali necessari a produrre i primi. E ciò, data la notevole varietà dei lavori compiuti da un’unica persona, con gravi ricadute sulla qualità e quantità dei beni da essa creati e sulla sua ricchezza materiale.

Proprio per ovviare a un simile problema, a un certo punto, quelli che fino ad allora erano stati dei produttori indipendenti decisero di consociarsi, ovvero di integrare tra loro i propri sforzi, ognuno specializzandosi in un settore particolare della produzione, svolgendo ciascuno mansioni in precedenza svolte anche da ogni altro lavoratore: un lavoratore ad esempio avrebbe prodotto aratri, altri invece li avrebbero usati. Il primo lavoratore sarebbe diventato col tempo un abile produttore di aratri mentre gli altri avrebbero profuso tutte le proprie energie nel loro impiego. Risultato di ciò, sarebbe stata una maggiore produzione di beni di consumo agricoli, quindi un maggiore benessere materiale per i membri della comunità.

È del pari logico che un tale processo di specializzazione produttiva si portasse dietro l’affermazione dello scambio come base stessa della vita associata. Se prima difatti, ognuno produceva ciò di cui aveva bisogno (beni di consumo e beni strumentali) da solo, bastando in qualche modo a se stesso, ora invece si affermava la necessità di scambiare ciò che si era prodotto con altri beni d’uso.

Ovviamente alla base del fatto che qualcuno potesse dedicarsi alla creazione esclusiva di beni strumentali vi era il fatto che qualcun’altro fosse in grado di creare un’eccedenza di beni di consumo tale da coprire anche le esigenze dei produttori dei beni strumentali, ciò che era reso possibile proprio dal fatto che questi ultimi, con il loro lavoro specialistico, fossero in grado di implementare la capacità produttiva dei primi.

** La concorrenza: L’economia della crescita e del benessere è fondata insomma, da una parte sulla specializzazione tecnica o divisione del lavoro(termine smithiano) e dall’altra, di rimando, sullo scambio o sul mercato.

Il mercato però, è qualcosa di più dello scambio semplice. In esso entra in gioco, tra l’altro, la concorrenza. Se due produttori ad esempio producono entrambi aratri, il contadino che li usa sarà incline a scambiare i propri prodotti con quello dei due che produce gli aratri migliori, in grado di favorire maggiormente il suo lavoro. La concorrenza tra produttori insomma, è la base stessa dell’efficienza produttiva della società. Solo se in ogni ramo della produzione e del lavoro i migliori (coloro che operano meglio, alla prova dei fatti) possono affermarsi a scapito dei peggiori, si potrà ottenere il massimo profitto possibile con vantaggio della comunità intera (anche se, chiaramente, ai danni dei competitori perdenti).

Si parla spesso di spirale della crescita in riferimento a questa visione smithiana della società e dell’economia: specializzazione produttiva (divisione del lavoro) e progresso tecnico costante infatti, collocati all’interno della cornice del meccanismo competitivo del mercato, determinano una sempre maggiore capacità produttiva e di conseguenza (almeno tendenzialmente) un sempre maggior benessere per i membri della società.

Crescendo infatti (in conseguenza dello sviluppo tecnologico) il volume della produzione, si abbassa la rarità e quindi il prezzo delle merci prodotte, le quali, divenendo più facilmente accessibili per i consumatori, liberano questi ultimi dalla penuria e dall’incertezza del futuro, favorendo l’impiego del loro tempo nella creazione di nuovi campi della produzione, ovvero nella creazione di merci sempre più mirate a un determinato ambito di consumo. In tal modo il processo di specializzazione produttiva continua a progredire e con esso il volume e la qualità delle merci disponibili sui mercati e quindi il benessere materiale della società. Cresce insomma il volume tanto delle merci strumentali (sempre nuovi e più sofisticati mezzi produttivi) quanto di quelle d’uso finale (sempre nuovi beni di consumo).

*** La concezione smithiana nella storia: Ovviamente quella esposta fin qui è una concezione ancora piuttosto primitiva dell’economia umana, né ciò può stupire, se si considera che Adam Smith fu il fondatore della scuola economica classica, ovvero della prima grande scuola di pensiero economico. Tuttavia, non vi è dubbio che l’attuale società del consumo e del benessere (ovvero appunto, la società capitalista) sia essenzialmente il prodotto storico dell’estrinsecazione dei meccanismi individuati da Adam Smith.

Peraltro anche in altri contesti storici, anzi praticamente in tutti, tali fattori (libera impresa privata, concorrenza di mercato, impiego della razionalità e della ricerca affrancata dalle limitazioni imposte da pregiudizi e dogmi) hanno svolto un ruolo essenziale per lo sviluppo dell’economia. Si deve tuttavia notare come nella moderna società capitalista e industriale essi abbiano assunto un’incidenza e una centralità mai conosciute in precedenza.

La rivoluzione moderna insomma, sembra esser stata (almeno da questo punto di vista) più una rivoluzione di grado o “di quantità” che non di qualità!

Inoltre, si deve osservare come (contrariamente ai dettami della visione smithiana e più in generale classica) la cornice istituzionale in cui ha luogo il progresso tecnico ed economico possa non avere caratteri esclusivamente privatistici e anarchici: molte società fortemente gerarchizzate e governate dall’alto (dispotiche), quale ad esempio quella cinese, hanno conosciuto al proprio interno grandi progressi tecnici e produttivi e quindi, per logica conseguenza, un avanzamento del proprio benessere materiale. Anche in tali contesti, la razionalità e la libera ricerca hanno ricoperto un’importanza notevole, anche se di solito tali sviluppi sono stati incoraggiati più dall’alto (dalle élite di governo) che dal basso (sviluppo autonomo). Ne è dimostrazione, ad esempio, il fatto che l’invenzione dell’algebra e della geometria siano avvenute nei grandi stati dispotici medio-orientali (Egitto e Mesopotamia) piuttosto che nelle libere città-stato greche, dove pure tali arti vennero sviluppate ulteriormente e dove nacque inoltre la filosofia e più in generale il concetto e la pratica di una ricerca razionale libera dai vincoli del potere politico e religioso.

Il discorso appena fatto non toglie però, che molti dei più rilevanti progressi tecnici dell’umanità abbiano avuto luogo in contesti politici e istituzionali in cui, coerentemente con le teorie smithiane, la dimensione privata e la libera concorrenza di mercato prevalevano sulla dimensione pubblica e statale, in cui cioè gli individui erano liberi di esprimere i propri talenti senza dover rendere conto delle proprie azioni a poteri pubblici eccessivamente oppressivi, avendo inoltre agio di trarre vantaggio sul piano economico e personale dalle proprie scoperte.

E le moderne società europee, capitalistiche e industriali (…laddove l’industria, ovvero la meccanizzazione della produzione, costituisce l’espressione più avanzata dell’attitudine alla razionalità e al progresso tecnico), costituiscono l’esempio più chiaro di questo discorso.

Come infatti abbiamo già notato, si può tranquillamente affermare che in tali società i fattori postulati da Smith come all’origine del progresso economico, abbiano conosciuto il loro massimo sviluppo. Del pari possiamo dire che questi, attraverso le sue teorie, descrivesse in realtà i caratteri economici salienti del mondo in cui viveva: la società europea all’inizio della Rivoluzione industriale (XVIII sec.), caratterizzata dall’introduzione su larga scala della produzione meccanizzata e da una conseguente e vertiginosa estensione delle merci e dei mercati.

adrianotorricelli.wordpress.com

Tra Smith e Marx

Smith, divisione del lavoro, ricchezza e alienazione

Fonti


Web Homolaicus

Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Economia -  - Stampa pagina
Aggiornamento: 10/02/2019