IDEE PER UN DIRITTO DEMOCRATICO
|
|
|
REVISIONE O ABOLIZIONE DEL CONCORDATO?
PREMESSA Il Concordato del 1929 firmato da Mussolini e dal card. Gasparri sancì la creazione della città-Stato del Vaticano e obbligava l'Italia a pagare al Vaticano un'ingente somma quale compenso per la rinuncia al potere temporale esercitato dalla chiesa direttamente nel proprio Stato, situato nell'Italia centrale, dal 756 al 1870. Esso dichiarava la cattolica religione ufficiale di stato, rendeva obbligatorio l'insegnamento della religione cattolica nella scuola statale (come pure la frequenza alle lezioni) e riconosceva il primato della chiesa nelle questioni familiari come il matrimonio e il divorzio. Quel Concordato, che non impedì certo al fascismo di ostacolare l'attività della chiesa, rappresentò un regresso rispetto all'impostazione risorgimentale, improntata al principio di separazione fra Stato e chiesa ("libera chiesa in libero Stato"). Ciò in quanto la monarchia sabauda, una volta acquisito il potere col consenso delle masse, non poté più fare a meno della chiesa di fronte alle rivendicazioni democratiche delle stesse masse. La separazione affermata in sede giuridica, col consenso politico degli intellettuali, non poté essere sostenuta nell'ambito della società civile, quando le masse pretesero una maggiore coerenza sociale degli ideali rivoluzionari (di qui la forte repressione delle rivolte contadine e di un fenomeno come quello del brigantaggio). Sotto questo aspetto il Concordato del '29 non fu che la legittimazione di una situazione di fatto, cioè la constatazione, da parte dello Stato borghese, di una propria intrinseca debolezza politica, dovuta al carattere di classe della propria economia. Una debolezza che porta naturalmente la borghesia a tradire gli ideali democratici della propria rivoluzione. Il nuovo Concordato siglato nel 1984 da Craxi e dal card. Casaroli, rispecchia, in maniera molto poco coerente, in verità, l'esigenza borghese del capitalismo avanzato di superare il limite del privilegio concesso a un'unica religione, quella cattolico-romana, per concederlo a tutte le religioni. Per la moderna democrazia borghese, laicità non significa più esclusione di qualsiasi ingerenza ecclesiastica nell'attività politico-istituzionale dello Stato, ma riconoscimento a tutte le confessioni della possibilità di tale ingerenza. Al Concordato infatti sono seguite varie Intese con le religioni a-cattoliche (p.es. Valdese e Metodista nel 1984, Assemblee di Dio e Avventiste nel 1986, Ebrei nel 1987...). La particolarità del nuovo Concordato sta appunto nel fatto che nei confronti della chiesa romana lo Stato ha riconfermato questo strumento pattizio, che è chiaramente lesivo non solo della libertà di coscienza ma anche della semplice libertà di religione. In tal modo la chiesa romana continua a beneficiare di molti privilegi ingiustificati non solo nei confronti dello Stato ma anche nei confronti delle altre confessioni. Comunque sia, qual è la contropartita che lo Stato spera di ottenere accettando di firmare le Intese con le varie confessioni? Quella di offrire ai propri cittadini l'immagine (illusoria) di un ente equidistante dalla religione, sempre più neutrale, al di sopra non solo degli interessi delle singole classi sociali, ma anche delle loro opinioni in materia di religione. Diceva Marx nella Questione ebraica: "Il cosiddetto Stato cristiano ha bisogno della religione cristiana per completarsi come Stato. Lo Stato democratico, il vero Stato, non ha bisogno della religione per completarsi politicamente". "L'emancipazione politica dalla religione -prosegue qualche riga dopo- lascia sussistere la religione, se pur nessuna religione privilegiata". In Italia la revisione del Concordato del '29 non è neppure riuscita a garantire un'emancipazione davvero politica dalla religione. Esso è stato votato da Dc, Pci, Psi, Pri e Psdi; contro hanno votato i Radicali, Pdup, demoproletari e una parte della "Sinistra Indipendente"; i liberali si sono astenuti. PRINCIPI GENERALI Le novità salienti del nuovo Concordato sono quattro:
Problemi emersi:
I BENI CULTURALI L'art. 12 del nuovo Concordato obbliga praticamente lo Stato ad accollarsi gli oneri della tutela del patrimonio artistico-culturale-religioso nazionale gestito da enti e istituzioni ecclesiastiche. Il Concordato precedente escludeva che una materia del genere andasse considerata come una res mixta, in quanto si dava per scontato che il suddetto patrimonio appartenesse alla nazione e non alla chiesa romana, o comunque, se appartenente alla chiesa romana, non potesse essere oggetto di specifico finanziamento da parte dello Stato, da decidersi di volta in volta. Se la chiesa vuole che il proprio patrimonio venga finanziato dallo Stato, occorre che lo Stato rivendichi non solo una totale proprietà di questo patrimonio ma anche un'assoluta autonomia nella sua gestione. Viceversa con questo Concordato il Ministero degli Interni si accinge a trasferire alle parrocchie (ora dotate di personalità giuridica) la proprietà di oltre 70 chiese monumentali di alto valore storico-artistico, col relativo apparato di arredi, da più di un secolo appartenenti al patrimonio pubblico e acquisite al demanio culturale dello Stato. IL MATRIMONIO CONCORDATARIO I matrimoni religiosi continuano ad avere effetti civili. E così le sentenze di annullamento, che possono essere applicate anche a distanza di anni o di decenni di vitale convivenza coniugare.. La disciplina in materia di matrimonio finisce col favorire una diversità nel trattamento patrimoniale conseguente alle dichiarazioni di nullità rispetto a quello che si ottiene in seguito alla pronuncia civile di divorzio. Alcuni esempi: se due coniugi avevano statuito la comunione dei beni, in caso di annullamento richiesto da uno dei due, quella comunione materiale è come se non fosse mai esistita. Siccome con l'annullamento del matrimonio la coppia è come se non si fosse mai sposata, risulta che non sia possibile alcun risarcimento del danno da parte di chi, dei due coniugi, l'ha subito (p.es. alcuna pretesa relativa agli alimenti). La corte d'appello può solo statuire "provvedimenti economici provvisori a favore di uno dei coniugi..., rimando le parti al giudice competente...". IL FINANZIAMENTO DELLA CHIESA L'art. 7 sancisce l'obbligo per lo Stato italiano di finanziare le attività, il personale e il funzionamento della chiesa cattolica in Italia. A tutt'oggi (2000) la chiesa romana dispone di circa 16.500 istituti religiosi, oltre 27.000 parrocchie e circa 16.000 enti di varia natura. Quali sono le forme di finanziamento della chiesa?
Qui si può far notare che ogni contribuente può destinare in alternativa o allo Stato o alla Chiesa cattolica l'8 per mille non solo delle imposte da lui personalmente pagate, ma del totale delle imposte pagate anche da parte di quei cittadini che non avranno espresso alcuna scelta (neppure per una delle altre confessioni). L'INSEGNAMENTO DELLA RELIGIONE Con il nuovo Concordato firmato da Craxi e Casaroli (1984) che cosa cambia relativamente all'insegnamento statale della religione? In pratica solo un aspetto di forma: la religione non è più un obbligo dal quale ci si può esonerare, ma una materia completamente facoltativa. Chi la vuole - in altri termini - deve farne, all'atto dell'iscrizione, esplicita richiesta. In tal modo l'esonerato di ieri (in genere ebrei e testimoni di Geova), l'incerto o indifferente (la stragrande maggioranza) e l'ateo convinto ma non dichiarato (per timore di conseguenze) non si sentiranno più, rispettivamente: discriminati, annoiati e frustrati, ma finalmente liberi di fare una scelta diversa, di tipo personale (che poi, fino a 18 anni, spetta sempre ai genitori). Il guadagno, in sostanza, è di natura psicologica. Tutto il resto è rimasto immutato: confessionalità dell'insegnamento religioso, idoneità rilasciata al docente dall'ufficio catechistico diocesano, imprimatur sui libri di testo, ecc. Lo Stato ha imposto alla chiesa (recependo la progressiva laicizzazione della società) una "assoluta" facoltatività, ma ha dovuto continuare a cedere sul terreno - ben più importante - della confessionalità. Prima (col Concordato fascista) si aveva il privilegio riconosciuto a una chiesa forte da parte di uno Stato che non poteva non dirsi confessionale; oggi abbiamo da un lato la precisa negazione giuridica di quel privilegio da parte di uno Stato che rivendica una certa laicità e dall'altro la riproposizione pratica di quel privilegio in forme e modi attenuati. Sotto questo aspetto vien da chiedersi se la separazione tra Stato e chiesa sarà il frutto di una progressiva laicizzazione della società o se invece non dipenderà da un'effettiva transizione della società dal capitalismo al socialismo, in quanto la storia pare non lasci molti dubbi in proposito: senza socialismo è impossibile realizzare una coerente e laica separazione tra i due enti. La borghesia può fare culturalmente a meno della religione, ma ne ha bisogno politicamente per garantirsi il consenso delle masse cattoliche, e in tal senso resta sempre vera la frase di Marx secondo cui "l'emancipazione politica dello Stato borghese dalla religione non è ancora l'emancipazione umana dalla religione". Nel testo si parla chiaramente di "cultura religiosa" (e non di "dottrina" o "fede" o "esperienza"), e anche di "richiamo storico al cattolicesimo italiano", ma queste due precisazioni non vengono svolte in modo logico e conseguente (meno che mai nel Protocollo addizionale e nell'Intesa del 1985 Dpr n. 751 tra il ministro Falcucci e il cardinale Poletti). Infatti se lo Stato intendeva far capire che l'insegnamento della religione è ammissibile solo in quanto (e fino a quando) il cattolicesimo-romano è sociologicamente rilevabile - bene, questo si può capire. E bene ancora se si cominciano a intendere le verità di fede e i dogmi nell'accezione più laica di "cultura religiosa" - un primo timido passo è stato fatto. Tuttavia, per garantire la scientificità all'insegnamento non "della" ma "sulla" religione
non basta cambiare le parole, bisogna cambiare la struttura generale
dell'insegnamento, ovverosia: Andrebbe quindi tolta a tutti i livelli la confessionalità e introdotto un insegnamento laico-scientifico "sulla" religione. (una confessionalità "scientifica" - come da più parti si ventila - è una contraddizione in termini). Senonché, avendo optato per una strada, diciamo, più opportunistica, ci troviamo oggi di fronte a una situazione ancora più ingarbugliata. La diplomazia tridimensionale dello Stato è in grado di accomunare cose che si escludono a vicenda: da un lato si ammette l'importanza a livello socio-culturale e storico del fenomeno religioso e si apre la porta all'esigenza di studiarlo in maniera scientifica; dall'altro si riconosce che la religione non può più essere imposta (perché socialmente il fenomeno non è più ovvio e comunque la scelta religiosa va considerata come questione di coscienza), e da un altro ancora si continua ad accettare un insegnamento religioso tradizionale, semplicemente perché lo Stato non può prescindere da un trattato internazionale. A questo punto - ci chiediamo - come potrà sottrarsi lo Stato al dovere di garantire nella scuola - là dove richiesti - insegnamenti di religioni diverse da quella dominante? (In fondo è stata per lo Stato solo una fortunata coincidenza che nell'intesa stabilita con i valdesi, questi non abbiano avanzato la richiesta di entrare nella scuola. Non è forse vero che in alcune scuole di Roma lo Stato ha dovuto accettare la presenza di insegnanti rabbini per gli studenti ebrei?). Tutto ciò non provoca soltanto dei problemi di ordine pratico (1), ma anche di ordine logico. In effetti, che senso ha sostenere che la religione è "affare di coscienza", quando poi si è costretti ad accettarne un insegnamento nelle scuole statali, seppure con la formula della richiesta? Che senso ha far pagare con tasse di molti cittadini che credenti non sono, un insegnamento che non li riguarda? Non ha forse ragione chi sostiene che le spese per la gestione di tali insegnamenti dovrebbero essere a carico delle comunità religiose locali? Ma qui è il discorso della "laicità" che dovrebbe essere chiarito e portato avanti. Laicità, in questo caso, non significa tanto permettere che le diverse confessioni religiose si esprimano liberamente nella scuola statale, ma significa piuttosto affermare dei valori e dei principi che non possono ritenersi tali solo perché costretti a convivere con quelli religiosi, o solo perché così vuole un'intesa obsoleta come quella del Concordato, che viola di fatto qualunque vera separazione tra Stato e chiesa. Non è più possibile che la laicità si possa considerare tale non prima di aver ricevuto il placet da parte degli ambienti ecclesiastici. E' ora di smetterla di considerare la visione laica della vita come il trionfo dell'assoluta indifferenza per i problemi metafisici e ontologici, o, peggio, come una sorta di materialismo rozzo e volgare. L'anticlericalismo era l'ideologia virulenta dei giacobini: oggi persino le Costituzioni dei paesi socialisti vietano l'istigazione all'odio e all'ostilità in rapporto alle credenze religiose (art. 52 della Costituzione sovietica del 1977). Una scuola statale dovrebbe evitare il formarsi di sentimenti di concorrenzialità, di rivalità fra le religioni e fra queste e lo Stato, ovvero sentimenti di chiusura aristocratica, di ghettizzazione privilegiata, e questo sarebbe possibile anzitutto se si impedisse a tutte le chiese di svolgere sistematicamente nelle scuole pubbliche una qualunque funzione di insegnamento, nonché di svolgere in maniera rituale qualsivoglia funzione religiosa (dalla messa d'inaugurazione dell'anno scolastico sino ai crocefissi in aula). Al massimo si può tollerare il confronto tra scuola e chiesa. La scuola è un'istituzione laica della società civile, un servizio pubblico dello Stato (qui la differenza ciellina fra "pubblico" e "statale" è soltanto pretestuosa): al suo interno l'insegnante (anche se credente) deve usare un linguaggio scientifico, umanistico, col quale impartire dei contenuti di carattere generale (che non vuol dire generico), acquisibili da qualsiasi studente, a prescindere dal suo (del docente e dell'allievo) atteggiamento verso la religione, la quale non è e non può essere oggetto d'insegnamento, ed è solo nell'ambito (privato) della comunità ecclesiale che la fede può essere vissuta. Il pluralismo, come regola di vita, che caratterizza la scuola pubblica non può voler significare che a chiunque si permette di insegnare ciò che vuole: la libertà di opinione, nell'ambito di una scuola laica, è comunque limitata dai principi etico-politici e scientifici che la caratterizzano e che sostanzialmente sono quelli costituzionali. Neppure idee che favoriscono il pregiudizio o la discriminazione di etnie, culture, lingue, sessi, usi e costumi di popolazioni diverse dovrebbero essere oggetto di insegnamento. Neppure quelle favorevoli al fascismo, al nazismo e ad altre forme di dittatura politica. Un insegnamento a-confessionale sulla religione non deve implicare alcuna forma d'indottrinamento (a scuola non si fa catechismo né pre-catechesi né pre-evangelizzazione) e neppure deve sollecitare al cosiddetto "sentimento religioso" (l'aula non è un confessionale). Lo sviluppo "integrale" della persona umana dovrebbe vietare, nell'ambito della scuola, all'educazione religiosa in senso lato (anche per il bene delle stesse confessioni). Non è la religione che a scuola deve porre domande alla scienza, ma il contrario (semmai si possono organizzare incontri, seminari, conferenze su argomenti di interesse comune). Forse l'unico vero problema su cui valeva la pena discutere è il seguente: un insegnamento laico sulla religione ovvero un insegnamento storico-critico della religione, è sufficiente che sia affrontato dai docenti delle materie storico-umanistico-sociali o ha bisogno di una cattedra specifica? Occorre cioè uno studio sistematico e approfondito o bastano alcuni punti-chiave? E' vero che già attraverso le materie umanistiche è possibile impartire un insegnamento laico sulla religione, ma è anche vero che in queste discipline il tempo dedicato ai problemi religiosi è troppo esiguo perché si possa garantire un affronto davvero serio e scientifico. Dunque, per vivere in una società secolarizzata, comprendendone l'etica in maniera critica, è sufficiente assimilare delle nozioni di morale laica (o di educazione civica), diluite nelle varie discipline, oppure è indispensabile uno studio specifico sulla storia delle religioni, visto e considerato che il fenomeno religioso pretende ancora oggi di porsi in chiave politica in molti paesi del mondo? E' necessario avere una competenza semplicemente culturale relativa a un fenomeno che ormai va considerato del passato, oppure occorre avere anche una competenza specifica, che riguardi anche i campi del diritto, della politica, dell'economia, per comprendere un fenomeno che vuole giocare un ruolo attivo nel presente? Non dimentichiamo che l'IR è presente nelle scuole per motivi che non riguardano solo l'importanza socio-culturale del fenomeno religioso, ma anche per motivi chiaramente politici (il potere del Concordato, recepito dalla Costituzione) ed economici (i 25.000 insegnanti di religioni vengono stipendiati dallo Stato). Marx diceva che la critica della religione è il presupposto di ogni critica - e in tal senso sarebbe bene istituire uno studio specifico su questo fenomeno mondiale; diceva anche che l'ateismo in una società socialista diventa col tempo una sovrastruttura inutile - e in tal senso si dovrebbe rendere del tutto facoltativo questo studio, lasciandolo all'interesse personale dello studente. In sintesi Il Concordato va abolito perché inficia il principio di eguaglianza dei cittadini affermato dalla Costituzione (art. 3: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali"). Il Concordato è inoltre in contrasto con gli art. 8 e 19 relativi all’eguaglianza e alla libertà delle diverse confessioni religiose. Le esenzioni tributarie a favore degli enti ecclesiastici e dei beni della Chiesa, la devoluzione alla stessa dell’otto per mille, gli stipendi agli insegnanti di religione scelti dai vescovi e le corresponsioni alla scuola privata, in massima parte proprietà di enti cattolici, in netto contrasto con l’art. 33 della Costituzione, configurano una situazione di palese contrasto con i i principi laici di eguaglianza e di separazione tra l’ordinamento statale e le confessioni religiose. (1) I problemi di ordine pratico non sono pochi: non potendo obbligare lo studente che non si avvale dell'IR a fare qualcos'altro, la scuola si trova costretta a gestire una massa di studenti libera di fare ciò che vuole (anche di uscire dagli istituti). Inoltre vi sono problemi di non poco conto nei momenti delle valutazioni finali, in quanto la votazione del docente di religione non può risultare decisiva ai fini della promozione o bocciatura di uno studente che si avvale dell'IR. (torna su) |
Le immagini sono prese dal sito "Foto Mulazzani"