RAFFAELLO E LA LIBERAZIONE DI SAN PIETRO DAL CARCERE
Affresco del 1513, base 660 cm (Roma Palazzi Vaticani in Stanza di Eliodoro)
Il timore di vedere i francesi di
Luigi XII,
già padroni della Lombardia e del genovese, dilagare nelle terre di Romagna,
su parte delle quali nel frattempo aveva messo mano la repubblica
veneziana, aveva indotto la chiesa del papa-militare
Giulio II,
a intraprendere dure battaglie per riconquistare i territori perduti e,
se possibile, allargarli: di qui la conquista di Perugia, di Bologna, la
guerra contro Venezia con l'aiuto dei francesi e contro i francesi con
l'aiuto degli svizzeri e di altri Stati italiani ed esteri, in nome di
una "lega santa" contro lo straniero. Oltre che militare l'offensiva fu anche ideologica, con l'inaugurazione del V concilio lateranense (1506) che toglieva, con la minaccia di scomunica, ogni speranza di negoziato ai fautori del primato del concilio sul papato e a chi metteva in discussione il potere temporale della chiesa. |
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Ottenuto quanto sperava sul piano politico-militare, ora la chiesa aveva bisogno di dimostrare la propria superiorità anche su quello culturale, come da tempo faceva perorando la causa dei grandi artisti nazionali. La smania del lusso e della modernità stava portando alla riforma ipercritica di Lutero, benché la chiesa avesse cercato di guadagnarsi le simpatie proprio di quella classe che invece le si rivolterà contro: la borghesia, anche se a livello nazionale s'imporrà il quieto vivere e quindi l'assenso indiretto alla controriforma. La paura di perdere potere politico aveva fatto improvvisamente fare alla curia romana marcia indietro, costringendola a ribadire un passato che non poteva più esistere, pur con l'aiuto di mezzi tutt'altro che superati, quali appunto erano quelli dell'arte rinascimentale italiana, allora la più avanzata nel mondo. | |
In questo contesto si colloca uno degli affreschi peggio riusciti di Raffaello, La liberazione di Pietro dal carcere. E' noto che Giulio II affidò la decorazione della Stanza detta "della Segnatura" (1508-11) a Raffaello dopo aver licenziato in tronco artisti del calibro del Perugino, Lotto, Bramantino... Gli affreschi della Stanza di Eliodoro, in cui l'affresco in oggetto si trova, furono realizzati subito dopo (1511-14). La liberazione di S. Pietro dal carcere è del 1513 e fa da pendant agli altri due affreschi voluti per dimostrare il primato spirituale e temporale della chiesa romana, testimoniato dallo speciale intervento divino: la Cacciata di Eliodoro dal tempio di Gerusalemme, dove era entrato per rubare i vasi sacri, e l'incontro di Leone Magno - che ha gli stessi lineamenti di Leone X (1513-21), succeduto a Giulio II (1503-13) - col terribile Attila. |
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In questa seconda Stanza Raffaello, con una disinvoltura che ha dell'incredibile, abbandona lo stile armonico e i toni tenui della Stanza precedente e si avventura in un pathos drammatico, a tinte anche cupe, in cui sembra volersi misurare di più con l'opera di Michelangelo. Dei tre affreschi sicuramente quello della Liberazione di Pietro appare il meno riuscito, per quanto la critica abbia qui ravvisato, nel gioco di ombre e luci, una certa originalità di stile: praticamente uno dei primi notturni dell'arte italiana. La luce infatti emana da vari punti: la luna, le torce, l'angelo, l'alba... e si riflette mirabilmente sulle armature dei militari, i quali non sono certo delle figure di contorno nel complesso della scena. |
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L'affresco sembra essere stato dipinto sulla base di un disegno che doveva
prevedere tre colonne verticali, di cui due laterali strette, che avrebbero
interessato prevalentemente i militari appoggiati sulle scale, e uno centrale,
caratterizzato da un'imponente e quanto mai geometrica grata della cella del carcere, dove
dietro, poco significative si stagliano le figure dormienti di Pietro e delle
guardie e quella, stereotipata, dell'angelo liberatore. Le fasce orizzontali invece sono soltanto due: una, imponente, in alto, che attraversa scale e cella, l'altra, tagliata dal portone reale, in basso, che rende simmetriche le due scale. |
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Oltre a ciò esistono tre linee curve, una ben visibile, ed è costituita dalla volta che racchiude a mo' di cornice l'affresco, le altre due sono invisibili e circondano l'intera scena, dipanandosi in direzioni opposte: dalla cella verso le scale, seguendo il percorso della liberazione del detenuto Pietro, e dalle scale di destra, con le guardie addormentate, verso le scale di sinistra, con le guardie sveglie. Queste linee dritte e curve e la scacchiera perfetta della grata di ferro, che danno un effetto tridimensionale alla scena, stanno a indicare lo stile per nulla spontaneo e anzi studiatissimo di Raffaello, che in tal senso appare più architetto che pittore e che non a caso, appena finito l'affresco, inizierà a sovrintendere alla ricostruzione di San Pietro, dopo la morte di Bramante (1514) |
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Nei personaggi rappresentanti, se si escludono alcuni militari, non c'è alcuna vera espressione che tocchi i sentimenti, non c'è poesia. Pietro svolge un ruolo del tutto passivo per essere convincente e l'angelo è troppo fittizio per suscitare qualcosa di umano. Se non avessimo costatato la ricerca ossessiva della perfezione prospettica e geometrica, saremmo stati indotti dall'affermare che i veri protagonisti di questo affresco sono in realtà i militari, soprattutto quelli della scala di sinistra. |
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E' modernissimo quello che si nasconde, in lontananza, il volto, quasi fosse colto dal terrore di doverci rimettere la vita a causa dell'evasione di Pietro (come poi, stando agli Atti, in effetti avvenne). I militari sono talmente ridondanti (ben otto) che quasi vien da pensare che i quattro di sinistra siano in realtà solo due di cui uno ritratto in tre pose diverse: il terrore (la guardia più in alto che si nasconde il volto), la paura (quella che si nasconde dietro la colonna), il timore (quella che guarda ammutolita il commilitone che inveisce pesantemente). Lo sguardo del militare intimorito lascia immaginare, come in uno specchio, quello nascosto del militare adirato. Tutto ciò è molto moderno e ricorda quella che si può definire la sceneggiatura cinematografica di un film giallo o d'avventura, qui condensata in un unico scorcio spazio-temporale.
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Forse ci si potrebbe spingere ancora più in là, azzardando l'ipotesi che il militare più in alto si copre il volto perché Raffaello lo ha voluto rendere occulto complice della liberazione di Pietro, misconoscendo così la versione romanzata di Atti 12,5-19, la quale ovviamente attribuisce a una figura irreale un'identità che non poteva essere svelata. |
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originale, sicuramente meno cupo e tenebroso |
E' comunque fuor di dubbio che l'elemento di disturbo in questa fiction è proprio l'angelo, che, come in quei film dove il finale è scontato, non solo non aggiunge nulla alla drammaticità di certe scene, ma addirittura toglie. Peraltro le sue fattezze così femminili, il fatto stesso che prenda per mano un leader politico-religioso che non sa neppure se stia sognando o se sia desto, fanno pensare a una fuoriuscita dalla prigione della misoginia, in cui da sempre si dibatte la chiesa romana. |
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Insomma qui la novità sta unicamente nel fatto che Raffaello ha realizzato qualcosa per uno spettatore che doveva semplicemente assistere a un racconto d'avventura, in cui ogni personaggio ha il proprio ruolo da svolgere e dove la chiave interpretativa non sta tanto nel contenuto del "film" quanto piuttosto nell'intreccio delle storie, nella ricercata costruzione scenografica in cui le storie si dipanano. Ciò che deve eccitare la curiosità dello spettatore è anzitutto quella gigantesca grata di ferro che sta a simboleggiare una sofferenza astratta, convenzionale, da cui si deve necessariamente uscire. Siamo ai limiti della fiction di maniera. |
Bibliografia