Una mitologica interpretazione della Tempesta di Giorgione

Fabia Zanasi

La tempesta fu commissionata (1507-1508) a Giorgione dal nobile veneziano Gabriele Vendramin ed era destinata a divenire oggetto di interpretazione all'interno del circolo di dotti del quale il gentiluomo faceva parte. Si trattava infatti di un dipinto cifrato, realizzato ad olio, il cui soggetto doveva appunto essere spiegato dagli eruditi amici del Vendramin. Nel 1530, in visita nella dimora del raffinato intellettuale, Marcantonio Michiel descrisse il quadro in questi termini: “El paesetto in tela cun la tempesta, cun la cingana et soldato fo de mano de Zorzi da Castelfranco”.
In mancanza di una fonte specifica, la decifrazione rimane tuttora sottoposta alle arbitrarie congettura degli studiosi, che ne hanno ricavato spiegazioni in chiave allegorico-alchemica, ma anche veterotestamentaria, come nel caso di Salvatore Settis, secondo il quale la scena allude alla cacciata di Adamo ed Eva dal Paradiso Terrestre, effigiato sullo sfondo: il bambino allattato sarebbe dunque Caino e il lampo alluderebbe alla punizione divina.
Sulla scorta di una attestazione del Ridolfi (Le meraviglie dell'arte, Venezia 1648), si potrebbe ipotizzare un ambito mitologico, peraltro assai caro agli eruditi del XVI secolo, infatti Giorgione si dilettava a realizzare "rotelle, armari e molte casse in particolare, nelle quali faceva per lo più favole d'Ovidio". Entrando nello specifico, possiamo osservare che sono pervenute alcune opere facenti parte di una sorta di ciclo di Paride, ad esempio: Paride abbandonato sul monte Ida (Princeton, University Art Museum), Ritrovamento di Paride (Budapest, Szépmüveszeti Muzeum), Paride consegnato alla nutrice (Milano, Collezione Gerli). Le fonti testuali rimandano, in questo caso, ad Apollodoro (Biblioteca, III).


Autoritratto nelle sembianze di David,
Braunschweig, Museum
Il Vasari vide il dipinto in casa del Patriarca Grimani; questa immagine ad olio era stata realizzata "con una zazzera come si costumava in que' tempi infino alle spalle, vivace e colorita che par di carne".


Ritornando alla fonte ovidiana, un'opera risulta essere, a nostro avviso, particolarmente suggestiva, per aprire una nuova pista di ricerca, nel campo delle congetture che l'enigma Tempesta continua ad alimentare: si tratta delle Heroides, ossia delle lettere d'amore che, nella poetica finzione, le eroine abbandonate inviano ai loro amanti.
Nel caso di Paride, a scrivere è Enone, una ninfa, figlia del dio fluviale Cebren, moglie del bellissimo troiano, prima che questi la abbandonasse per Elena. Gli amori di Enone e Paride hanno avuto come testimoni i boschi della Frigia: “Spesso tra le greggi riposammo protetti da un albero / e l'erba mista alle foglie ci offrì un letto” (Eroides, 5, 13-14). Spinto dalla passione, il giovane ha addirittura inciso il nome della ninfa sulla corteccia dei faggi, un gesto che, come noto, avrà grande fortuna nella tradizione letteraria del '500, basti pensare ai nomi di Angelica e Medoro, nel celebre episodio della follia d'Orlando.

Veduta di Castelfranco, disegno a sanguigna,
Rotterdam, Museo Boymans
Il paesaggio presenta molte affinità con quello effigiato sullo sfondo della Tempesta.

Anche i due personaggi dell'invenzione giorgionesca sono  ambientati in un luogo naturale, nei pressi di un corso fluviale (allusione al dio Cebren), mentre sullo sfondo si scorge la reggia di Priamo e nel cielo incombe la tempesta della futura guerra troiana; ma l'uomo sembra, per la verità, prendere commiato: guarda la donna, rimanendo infatti a distanza, con il braccio destro appoggiato al pastorale.
L'interesse per le avventure di Paride lascia tuttavia spazio ad un altro enigma, questa volta legato alla biografia stessa dell'artista: l'eroe troiano effigiato nelle tele potrebbe indicare un metaforico omaggio a Paris Bordon, il pittore di Treviso nato nel 1500, supposto figlio naturale del Giorgione, come il Vasari ha avuto modo di lasciar trasparire nelle sue Vite, raccontando proprio il dolore del piccolo Paris (aveva a quel tempo dieci anni), alla morte del grande artista: “dolendosi infinitamente che di que' giorni fusse morto Giorgione [...] Ma, poi che altro fare non si poteva, si mise Paris in animo di volere per ogni modo seguitare la maniera di Giorgione”(Vasari, Vite, 1568).

Frammento del rinvenimento di Paride,
 Budapest, Szépmüveszeti Muzeum


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