ARTE ANTICA MODERNA CONTEMPORANEA


Arte fiamminga

I - II - III

Hubert e Jan van Eyck, Polittico di Gand (1426-1432 circa), Chiesa di San Bavone, Gand

Dario Lodi

Secondo Vasari i fratelli van Eyck furono gli inventori della pittura a olio. L’artista e critico toscano aggiunge che Antonello da Messina fece conoscere tale tecnica in Italia dopo un viaggio nelle Fiandre (regione che allora comprendeva Belgio, Olanda, un pezzo di Francia e uno di Germania). Dal XVI secolo, l’Olanda si staccherà nella lotta fra Protestanti e Cattolici (questi ultimi rimasero in Belgio, sotto il dominio spagnolo).

Nella realtà, la tecnica a olio era già nota, i due fratelli, Hubert (di cui si sa pochissimo: alcuni storici ritengono addirittura che sia un personaggio di fantasia) e Jan (considerato il miglior pittore europeo del primo Quattrocento), la riscoprirono e la perfezionarono. Essa ebbe successo rapidamente grazie alle minori difficoltà tecniche che aveva rispetto alla pittura a tempera (che gli italiani preferirono sempre e comunque per la migliore resa finale in termini di brillantezza). Quasi certamente, Antonello da Messina scoprì la pittura fiamminga alla corte di Alfonso d’Aragona a Napoli.

La pittura a olio, per la più lunga asciugatura del colore, consentì l’esaltazione di operazioni analitiche presso artisti figli di una società commerciale evoluta. Le Fiandre erano ai tempi terreno di passaggio per eccellenza delle merci (in special modo della lana grezza dall’Inghilterra, da cui storicamente dipendeva), era una regione ricca, ambita dalla Borgogna e degli Asburgo, e quindi consentiva l’acquisizione di commesse sia religiose sia laiche.

La concorrenza fra i pittori portava a opere di grande qualità, secondo canoni precisi, fra cui quello della riproduzione virtuosa era decisivo. L’artista doveva presentare dei modelli e riprodurre situazioni esplicite a favore della bellezza del creato e della sacralità divina, umana di conseguenza alla figura di Cristo.

Chi stabiliva la validità di un’opera era la gilda (corporazione). Essa aveva norme severe. L’aspirante pittore doveva fare un apprendistato di cinque anni, dopo altri tre anni di perfezionamento poteva essere chiamato maestro, ma pure sottostava a una giuria che analizzava di volta in volta la qualità del dipinto. Poteva accadere, anche a vecchi maestri, che quest’ultimo venisse distrutto.

Veniamo a Jan van Eyck. Visse una cinquantina d’anni, sino al 1441, e dipinse molto. Proveniva dalla miniatura. La sua opera più famosa e celebrata è il “Polittico di Gand”, 12 tavole d’incredibile bellezza che certamente colpirono gli spettatori dell’epoca. Nessun pittore aveva raggiunto un simile risultato tecnico. Fu la limpidezza delle figure e delle scene a stupire, molto più dei concetti espressi.

Jan van Eyck non rivoluzionò la pittura da un punto di vista concettuale, come farà quasi contemporaneamente la pittura italiana (si pensi a Masaccio e ai suoi interventi essenziali e fortemente e umanamente espressivi), bensì la rinnovò tecnicamente. Grande è il risultato della sua pittura a olio, solo molto raramente e con ben maggiore fatica raggiungibile con la pittura a tempera.

La pittura dopo van Eyck si avvalse, generalmente, di una tecnica mista, olio per certi passaggi e tempera per altri, riconoscendo alla seconda il vantaggio (grazie ai pigmenti naturali) di un tono coloristico particolarmente vivo (e incorruttibile).

Il “Polittico di Gand” ha un impianto monumentale di derivazione bizantina. Le figure sono bloccate e possiedono una certa ieraticità. Stanno consumando un rito che ha al centro la figura divina e intorno episodi esplicativi della grandezza di Dio. Il fatto religioso è vissuto con rispetto, devozione e senza alcun proposito d’intromissione nelle cose sacre.

Jan van Eyck esalta la funzione religiosa nella società, intendendola come ordine superiore, e la idealizza alla perfezione, soddisfacendo le aspettative del committente. Egli dimostra che gli incitamenti della commissione sono essenziali ai fini di un buon risultato finale. L’abilità dell’artista viene condizionata dalle pretese espressive di chi vuole l’opera.

Non si sa quanto il pittore sapesse delle cose bibliche, certo gli erano precluse nei dettagli in quanto egli non era un ministro divino, ma la sua sensibilità fu certamente suggestionata dalle descrizioni dettagliate del passaggio biblico in questione da parte del committente. Questo gli consentì un tocco in più nel rappresentare i dettagli, i particolari della storia: essi, considerandoli nella dinamica, assumevano un’importanza spirituale che sicuramente non poteva sfuggire a un animo sensibile.

Così l’artista, Jan van Eyck, non può essere considerato un mero esecutore di progetti altrui, ma deve essere visto come un collaboratore completo di un programma morale altissimo, ancorché ancorato a una spiritualità totemica: ancoramento, nel caso, però solo parziale, e per la parte più nobile, tolte le inevitabili e grandiose celebrazioni ipostatiche.

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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Arte
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Aggiornamento: 09/02/2019