ARTE ANTICA MODERNA CONTEMPORANEA


Le Grotte di Ajanta

Parte di un affresco delle Grotte di Ajanta in India, a circa 150 Km da Aurangbad, città posta nel centro-est della Penisola Asiatica.
A nord, la zona ospita le Grotte di Ellora con appartamenti monastici e Stupa.

Dario Lodi

Allo scopo di sfuggire dalle persecuzioni e con la certezza della discrezione, divenne abituale, fra il II sec. a.C. e il I d.C., presso i Buddhisti scavare grotte nelle rocce. Quelle di Ajanta, in numero di ventinove, ospitano affreschi di vari periodi che invariabilmente raffigurano episodi della vita del Buddha oppure conversioni, anche di re e dignitari, alla sua “religione”.

Non si tratta di veri e propri affreschi, ma di tempere poste sul muro con tecnica particolare (non molto dissimile da nostra rinascimentale) alla cui base è indispensabile il disegno preparatorio, così come nell’affresco tradizionale. I dipinti sono di varie epoche e specialmente appartenenti al periodo Gupta (fra il III e il VI sec. d.C., i meglio conservati).

I più vecchi sono rovinati e irrecuperabili, ma qualcosa è ancora visibile, per lo meno nei tratti essenziali e nelle figure centrali. Il luogo viene descritto come dotato di raro fascino spirituale. La presenza del Buddha è avvertibile in ogni angolo.

Le grotte, come quelle di Ellora, contengono parecchi appartamenti monastici e Stupa, vale a dire luoghi di raccolta di oggetti relativi alla venerazione del Buddha (tipo i nostri ceri dietro le immagini sacre) e dei reperti ritenuti di sua appartenenza. Le sue rappresentazioni, lui nato nel V sec. a.C., furono vietate sino al I sec. a.C., da lì in poi tollerate, ma mai incoraggiate.

Buddha, come è noto, non fondò una religione così come si intende la religione in Occidente, ma una linea di pensiero, una sorta di percorso filosofico che si conclude con il complicatissimo concetto del Nirvana. Esso non contempla, come spesso si crede, l’annullamento passivo nel tutto, ma sostiene la necessità di una dignitosa presa di coscienza della realtà e l’abbandono consapevole nel radioso mistero che la muove. Mistero che il Buddha dice di poter sentire, al punto che è inutile conoscerla razionalmente.

Il complicatissimo “cerimoniale” buddhista, favorì la produzione di infinite immagini concepite per ritrarre i momenti salienti dei vari passaggi sentimentali e intellettuali che lo caratterizzano.
A differenza dell’Induismo, il Buddhismo vede la questione religiosa come un problema spirituale privo di scappatoie favolistiche (per quanto significative).

La responsabilizzazione personale – espressa dal Maestro con la creazione della figura del “Bodhisattva” (l’allievo-aspirante Buddha) – consentì la moltiplicazione di interpretazioni individuali, pur entro il rispetto delle norme della dottrina. La dinamica buddhista avviene quindi all’interno delle immagini.

Esse vengono vivacizzate da un procedere interiormente verso la consapevolezza della bontà della regola buddhista e quindi della necessità della sua adozione. Il fenomeno si completa con il raggiungimento di una serenità speciale che non ha niente a che vedere con la pacificazione razionale.

Il buddhismo non contempla mai il ricorso alla ragione perché non lo ritiene necessario. La sua spiritualità contiene anche la ragione che riduce ad ausilio trascurabile della credenza. La credenza è nel cuore e nella mente in senso istintuale: l’istinto sviluppa l’intuito secondo determinate logiche e infine si bea del risultato raggiunto: la pace, ma una pace mai ridotta al silenzio.
Il pittore qui si limita a descrivere ciò che avviene nell’animo umano a contatto con il credo buddhista.

Lo fa, tuttavia, con una soavità e una partecipazione che non appartengono certo al “mestiere”: egli collabora pienamente con il soggetto e con l’ambiente (entrambi sono sotto la “protezione” buddhista), ne condivide i propositi, ne sposa le decisioni, persegue le conseguenze. Tutto senza mostrare alcuna intenzione, senza forzare un particolare, senza mostrare i fini. Del resto, è come se tutto fosse già scritto. Non c’è bisogno di sottolineature.

La spiritualità detta il comportamento. Il comportamento, secondo il credo buddhista, è considerato perfetto perché porta al massimo esprimibile. D’altro canto, ciò che viene predicato dal Buddha è una sorta di riporto da parte dell’intelligenza superiore che viene incarnato dallo spirito buddhista. In fondo, Buddha è un “portatore d’acqua”.

E’ impensabile però cosa sarebbe il mondo senza di lui. Semplice e insieme grandioso è tutto questo quadro, entro il quale avviene un processo conoscitivo che non ha uguali, si creda a Buddha o no. L’artista ci crede con naturalezza, mostrando la più bella ingenuità razionale con soddisfazione e felicità contenute senza alcuna fatica.

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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Arte
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Aggiornamento: 09/02/2019